Il discorso antimilitarista di cui il mondo avrebbe bisogno. Ma che nessun leader atlantico avrà mai il coraggio di fare. Perché nessuno di loro può davvero disertare il business della Guerra
Immagine realizzata da Bansky in una delle stanze del Walled Off Hotel di Betlemme, considerato l’hotel con la visuale più brutta al mondo perché affaccia esattamente sul muro che separa Israele dai Territori Palestinesi Occupati |
L’11 settembre 2001 il nostro Paese e la nostra parte del pianeta si sono svegliati di fronte al pericolo e, da quel momento, sono stati chiamati a difendere la libertà che ci è stata tolta. Siamo stati vittime, come poche volte ci è capitato nella Storia recente e passata. Il nostro dolore è diventato rabbia e la rabbia è diventata determinazione. Da quel momento siamo stati investiti del compito di tutelare la sacralità della libertà ovunque questa venga messa in pericolo. Che noi portiamo i nostri nemici davanti alla giustizia o che noi portiamo la giustizia ai nostri nemici, in ogni caso giustizia sarà fatta. Con la legge o con i missili poco importa.
Non possiamo vedere dentro la testa di un terrorista, eppure oggi noi campiamo chiaramente quel che egli chiede. Un terrorista chiede odio, chiede paura. Al di là di ogni altra cosa un terrorista chiede guerra. Per vendetta, per profitto o perché è l’unica opzione possibile dopo che un uomo d’affari è arrivato nel suo Paese o nel suo villaggio con nella borsetta un agente chimico che avvelena i campi, i piani per la costruzione di una fabbrica altamente inquinante o per esportare rifiuti tossici che uccideranno i pesci nel mare, togliendo alla sua comunità l’unica fonte di guadagno. Costringendolo così a diventare un criminale o un “terrorista”.
I nostri amici e i membri delle nostre famiglie sono morti a migliaia, le loro luci di vita sono state improvvisamente e brutalmente spente quel giorno. Al mondo stanotte io dico che neppure una sola persona innocente dovrà più morire a causa di questi atti terroristici. Non dovrà morire il figlio di nessuna madre statunitense. E neppure un bambino in Israele e Palestina dovrà morire per questo. Ma basterà non parlarvene al telegiornale delle 20 per commettere stragi di innocenti mentre accusiamo il resto del mondo di fare lo stesso. Non è “terrorismo“ il nostro, noi la chiamiamo difesa della democrazia e dei valori occidentali.
Agli uomini e alle donne in uniforme io dico: tutti dobbiamo sperare che i vostri giorni militari siano conclusi. Per questo dovreste disertare appena possibile. Non fatevi ammaliare dalle parole che noi, leader del mondo libero, giusto e democratico, dichiariamo ai nostri giornali: non ci interessano questioni come il rispetto della pace o la diffusione di democrazia e diritti umani in ogni Nazione del mondo. È che molti di noi prendono voti e denari dall’industria delle armi, ci sembra maleducato non adottare politiche che ne assicurino profitti sempre più alti. Per questo ogni Presidente degli Stati Uniti d’America ha la propria guerra con cui essere ricordato sui libri di storia.
Per questo mandiamo voi a morire sui campi di battaglia, riempiendovi la testa con bei discorsi sulla libertà, l’onore e la patria, perché voi che non fate parte dei nostri club esclusivi siete sacrificabili, mera carne da cannone. Noi, i nostri familiari e i nostri amici no. Per questo noi ordiniamo, al caldo del nostro privilegio, e voi eseguite.
Gli Stati Uniti sono pronti ad agire e siamo pronti ad agire da soli se dobbiamo. Ma dal Vietnam in poi abbiamo capito che i corpi dei nostri giovani rispediti a casa stretti nella bandiera non portano voti, per questo preferiamo mandare avanti i nostri alleati europei e ridurre al minimo i nostri danni, collaterali o meno: dalla fine della Seconda guerra mondiale li riempiamo di soldi, basi militari e baci sulla fronte esattamente a questo scopo.
I cittadini di altre ottanta nazionalità sono morti con i nostri, a New York e Washington, quell’11 settembre 2001. L’assassinio di innocenti, quel giorno, è stato compiuto non solo contro gli Stati Uniti ma anche contro l’Iran e l’Arabia Saudita, il Messico e il Salvador, il Giappone e la Corea, il Canada e la Gran Bretagna e l’India e il Pakistan.
Nessuna delle persone uccise quel giorno era il vero obiettivo dei terroristi: il messaggio era rivolto ai governi dei Paesi da cui provenivano quelle vittime innocenti. Quei governi che ieri in Vietnam, in Afghanistan, in Cile e oggi in Iraq, in Yemen e a Gaza compiono quasi ogni giorno tanti piccoli 11 settembre, tante piccole azioni che portano contadini e pescatori, operai e agricoltori a doversi trasformare in “terroristi” in risposta alle nostre politiche in tema di ambiente, finanza, commercio o per lo sfruttamento delle risorse naturali nei loro Paesi e nei loro villaggi.
Non siamo mai stati chiamati “terroristi”, nonostante dai nostri Parlamenti siano state decise alcune delle azioni più criminali che i libri di Storia potrebbero narrare, se solo non avessimo lavorato ogni giorno ad un controllo così aggressivo delle notizie da affidare alla Cia la creazione di piani per l’assassinio dei giornalisti più irridenti ed irredenti.
Per oltre 20 anni abbiamo scatenato una guerra al terrore muovendo in tutto il mondo i nostri carri armati, i nostri missili ed i nostri droni, equipaggiati al meglio per combattere contro un’idea dai confini labili e per questo dai profitti sicuri. Abbiamo armato i nostri nemici affinché questa lotta durasse il più possibile. E quando ci è sembrato di aver fatto guadagnare abbastanza ai nostri amici produttori d’armi, ci siamo impegnati a creare nemici interni in nome di un profitto ancora più ampio. “Sicurezza urbana” l’abbiamo chiamata.
Potevamo chiedere la creazione di un Tribunale internazionale sotto l’egida delle Nazioni Unite, ma avremmo corso il serio rischio di ritrovarci tra gli accusati e non tra gli accusatori.
23 anni fa il mondo dei giusti si è scoperto vulnerabile. E da 23 anni, giorno dopo giorno, con i nostri alleati stiamo costruendo una vera e propria Fortezza inespugnabile in modo che ciò non accada mai più. In modo che mai più possa essere colpito al cuore il sistema di relazioni ed equilibri internazionali che abbiamo innalzato a difesa del nostro privilegio e del nostro diritto-dovere, come Paesi ricchi, giusti e democratici, di guidare e sfruttare il resto del mondo, quello che chiamiamo “povero” o “sottosviluppato”.
Gli ultimi anni non ci hanno insegnato alcuna lezione, e oggi ci troviamo nella stessa, identica situazione che ha generato l’11 settembre 2001. Forse anche in una situazione peggiorata rispetto a quel tempo. In questi anni abbiamo inseguito con la miglior tecnologia militare un fantasma che è sempre stato, in realtà, il nostro riflesso allo specchio. In questi 23 anni abbiamo avuto l’opportunità di frantumare lo specchio e porre fine, per sempre, al potere delle armi, della guerra e del dominio di una parte dell’umanità, la nostra, sull’altra. Ma la campagna d’Ucraina mostra la nostra volontà di fucilare le colombe e liberare i falchi, di adottare la guerra e il conflitto come sistemi di risoluzione delle controversie internazionali e annientamento del dissenso all’interno delle nazioni. Perché la guerra muove una quantità di denaro che la pace non potrà mai assicurarci.
Non possiamo capire il terrorismo, o almeno non siamo in grado di comprendere il “loro” terrorismo, perché il nostro lo capiamo alla perfezione, ma lo chiamiamo Capitalismo. In entrambi i casi, comunque, comprendiamo chiaramente che lo scopo del terrorismo è distruggere il mondo, che sia con un attentato in un teatro o avvelenando la terra per aumentare i dividendi dell’azienda multinazionale. Potremmo evitare il pericolo di fornire al loro terrorismo dei martiri e delle giustificazioni, ma questi aiutano nella propaganda filo-armata che ogni giorno portiamo a reti unificate nelle case dei nostri elettori.
Dopo 23 anni questa guerra globale ci sta portando sempre più vicini al punto di non ritorno. Ce lo dicono esperti e scienziati dei campi più disparati. A differenza dei film di Hollywood, però, non abbiamo stazioni spaziali o altri pianeti su cui trasferirci. Non per ora almeno. Noi privilegiati che ci siamo arrogati il diritto di guidare il mondo non siamo stupidi, non abbiamo alcuna intenzione di partecipare ad un suicidio collettivo. È il motivo per cui, finché non potremo robotizzarle, le nostre guerre le combattete voi che privilegi non ne avete.
Oggi possiamo cambiare la grammatica con cui abbiamo costruito il mondo. Dobbiamo impegnarci a disincentivare l’uso della guerra nelle relazioni internazionali, prosciugando il terreno dell’odio, della violenza e del conflitto che noi stessi, per primi, abbiamo fertilizzato per decenni. Occorre fare di più per ridurre la povertà, le disuguaglianze e la sofferenza in Medio Oriente e in Africa, iniziando dal trasformare gli arsenali in granai, scuole ed ospedali e dal destinare la spesa militare a progetti civili che assicurino ad ogni persona nel mondo un tetto, un lavoro degno, livelli e qualità eccellenti di cibo, salute ed istruzione, oltre a libertà, democrazia, giustizia e pace. Dobbiamo fare di più per ascoltare le voci delle molte persone che, in tutto il mondo, stanno lottando per farcelo capire e a cui, in tutti questi anni, abbiamo invece risposto con proiettili, carcere e silenzio.
Se vogliamo ancora arrogarci il diritto di chiamarci democratici, non può che essere questo il nostro obiettivo costante. Ammettendo che Madre Terra ci dia ancora abbastanza tempo da poter portare a termine, insieme, un progetto di tale portata in ogni angolo del pianeta. I nostri scopi non siano più quelli del terrore, perché il terrore chiama estremismo, fanatismo e guerra. Dobbiamo raddoppiare i nostri sforzi per la pace, sforzi che negli ultimi decenni abbiamo invece reso davvero scarsi. Per raggiungere la pace dobbiamo smantellare quella Società della Paura che noi stessi abbiamo creato, perché chiamati ad aiutare in ogni modo i profitti ed il Potere dell’industria delle armi.
E così io dico alle colombe, ai pacifisti, ai disertori d’ogni guerra che affronteremo la violenza con giustizia paziente, certi della nostra causa e fiduciosi nella vittoria. Anche se ciò dovesse significare portare noi stessi sul banco degli imputati.
Possa dio darci saggezza e ci protegga
John Doe, 47° Presidente degli Stati Uniti
Quello che hai appena letto è un finto discorso, come è ovvio dalla firma in calce, pronunciato da un farlocco Presidente degli Stati Uniti (d’America o d’Europa poco cambierebbe) che ho ripreso ed adattato da un altrettanto finto discorso presidenziale "Il discorso che non è mai stato fatto, perché non lo si dimentichi", pubblicato sul n.39 della rivista canadese AdBusters, edizione gennaio-febbraio 2002. Il testo originale lo trovi in “AdBusters: Ironia e distopia dell’attivismo visuale“, scritto da Franco “Bifo“ Berardi e Lorenza Pignatti (Meltemi, 2020, pp.107-109).
“Madre Guerra“ è l’articolo di copertina di "Achtung! Disertoren!", un lungo approfondimento sulla guerra in Ucraina e il principio di diserzione di cui, da antimilitarista, sono un convinto sostenitore.
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