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(Vasco Brondi - "Cosa racconteremo di questi cazzo di anni zero")

martedì 27 febbraio 2024

10 Ragioni per cancellare subito i tuoi account social, un libro di Jaron Lanier


Recensione ragionata e politica di un libro-denuncia...a metà


10 ragioni per cancellare subito i tuoi account social - Jaron Lanier, copertina

Come la canterebbe Lucio Battisti: dieci ragioni per mollare i social media[1] posson bastare? Secondo Jaron Lanier sì e no. O meglio, nel suo libro del 2018 – Dieci ragioni per cancellare subito i tuoi account social[2], che segue Tu non sei un gadget (2010) e La dignità ai tempi di Internet (2013) – affronta solo una decina di accuse, per sua stessa ammissione quelle «incentrate sui temi sui quali ho una prospettiva e una conoscenza dirette e documentate» (pag. 138). Pro e contro di un libro-denuncia che non arriva davvero alla piena consapevolezza della propria forza. Forse.

Quante scuse hai per scrollare?

Scrittore “insider”, “pioniere digitale divenuto web ribelle” – come lo definisce il quotidiano britannico the Guardian nel 2018 – Jaron Lanier è uno sviluppatore software con esperienza in Google, Microsoft e nel progetto Second Life, considerato uno dei padri della realtà virtuale. Nel suo libro, scritto con un tono capace di farsi comprendere anche dal lettore meno esperto in materia, avverte che di motivi per abbandonare la dipendenza da scroll ce ne sarebbero più di dieci, a partire dalla discriminazione portata dagli algoritmi, dalla perdita della privacy o dalle possibili truffe realizzabili attraverso i social.

Per approfondire:

Lanier redige un atto d’accusa preciso ma, forse, non lanciato al massimo delle sue potenzialità. Nei 10 capitoli che compongono il libro affronta temi come la perdita di dignità economica dovuta al modello di business e della libertà di scelta (ragioni 8 e 1) o ancora della capacità di provare empatia che i social media starebbero distruggendo (ragione 6). Oltre a renderti stronzo e infelice – come riportano senza giri di parole le ragioni 3 e 7 – Lanier denuncia come i social media stanno minando la verità (ragione 4), rendendo la politica impossibile (ragione 9) e togliendo significato a ciò che dici (cap. 5). Per Lanier, inoltre, abbandonare i social media rappresenta il modo più mirato per resistere alla follia dei nostri tempi, come titola la ragione 2.

La ragione 10 - I social media (ti) odiano (nel profondo del)l’anima - chiude il libro con una considerazione che Lanier definisce «spirituale» (p.125): possiamo considerare i social media come una nuova religione?

Piombo, petrolio e precarietà, breve abecedario tossico sui social media

La risposta di Lanier a questa domanda la trovi nel libro, la mia considerazione in merito è che se di religione si deve parlare questa è un culto di natura prettamente economico, che basa il suo credo tra il nuovo petrolio dei dati personali e, come suggerisce Lanier, le vernici a piombo (p. 33).

Quando non è stato più possibile negare la tossicità del piombo, nessuno ha detto che da quel giorno in poi le case non sarebbero più state pitturate. Ci sono state pressioni, una legislazione apposita, e le vernici senza piombo sono diventate il nuovo standard. Chi era intelligente ha aspettato a comprare vernici finché non sono uscite sul mercato quelle sicure. Allo stesso modo, le persone intelligenti dovrebbero cancellare i propri account fino a quando non saranno disponibili versioni meno tossiche

Dieci ragioni per cancellare subito i tuoi account social è una lucida analisi cyberpessimista che si inserisce in un ampio lavoro di denuncia e ricerca che, negli anni, porta Jaron Lanier ad occuparsi non solo del ruolo dei social media ma anche della precarietà nel mercato dei lavori su piattaforma digitale o del ruolo – che oggi sappiamo fallimentare – della rete e dei social nello sviluppo e nel miglioramento dell’intelligenza collettiva delle masse.

I signori Pebkac votano social

«È improbabile che una caterva di gente abbandoni i social media tutta in una volta», dichiara Lanier nelle battute conclusive del libro (p. 139), «la combinazione della dipendenza di massa con l’effetto di rete è potentissima». Ad una breve indagine saranno pochi gli amici che vi risponderanno di non essere sui social media; è più facile che abbiano profili un po’ ovunque ma – per una serie di ragioni – non siano attivi se non per poche occasioni.

Una posizione che trova sicuro interesse anche in Lanier, che invita a mollare i social media ma non l’intera rete: «internet in sé non è il problema», ricorda lo scrittore e informatico mentre suggerisce valide alternative alle più comuni azioni che abbiamo portato sui social media, come scrivere agli amici via email invece che attraverso le chat social o tornare a leggere le notizie direttamente sui siti dei giornali invece che dal feed, laddove pare essersi sviluppata un ars divinatoria con la quale sembra essere possibile comprendere un testo più o meno lungo e approfondito leggendone il solo titolo “algorithm-friendly”.

Usare internet senza avere a che fare con i social media non è reato né peccato da confessione domenicale e, anzi, aiuta a spezzare l’idea che non ci sia altra rete all’infuori del duopolio Zuckerberg-Musk. È un modo di usare internet che costa più fatica, almeno in apparenza, perché rimette al centro la responsabilità di navigazione nelle mani dei signori Pebkac: quel potere-abilità che i social media della soluzione facile e immediata hanno messo fuori fuoco.

Generation-Log out

L’effetto-dopamina su cui le piattaforme social sono state sviluppate sembra però aver perso posizioni negli interessi delle persone, soprattutto nella fascia d’età 20-25 anni, che in modo lento ma rumoroso stanno seguendo il suggerimento di Jaron Lanier per effetto delle preoccupazioni su privacy e gestione dei dati personali, salute mentale e per la volontà di cercare esperienze di comunità più reali e meno digitalizzate.

«Le relazioni umane hanno sofferto e la loro complessità è diminuita», dichiara a Wired Marlon Twyman II, assistente professore presso la Scuola di Comunicazione e giornalismo di Annenberg (Università della California del Sud), che definisce quella sui social media come una «apparenza della connessione sociale». Ancora dall’articolo:

[...]”Poiché molte delle nostre interazioni avvengono su piattaforme progettate per promuovere interazioni transazionali che forniscono un feedback sotto forma di metriche di attenzione, molte persone non hanno molta esperienza o pratica nell’interagire in contesti in cui vi sono obiettivi collettivi o comuni per un gruppo più ampio”. E questo ha portato le persone a focalizzarsi di più sulla propria immagine e sulla propria identità anche nelle interazioni reali, aggiunge Twyman

È interessante notare come ad essere più critica e distante dai social media sia soprattutto quella Generazione-Z (nati tra il 1995 e il 2010) che più è cresciuta all’interno della società che di algoritmi e selfie ha fatto il proprio credo.
Quella stessa società che la “Generazione-Log out” sta provando a decostruire non solo abbandonando i social media e gli smartphone – tornando ad esempio ai flip phone, quei vecchi cellulari con la chiusura a conchiglia – ma anche i posti di lavoro che incidono peggiorando la salute mentale, le aspettative di autodeterminazione o quelle aziende, grandi e piccole, che non rispecchiano più i loro valori. Una ulteriore riprova di quanto sbagliata sia l’idea, ciclica, del disinteresse dei giovani per la politica e la società che li circonda.

Secondo il Digital Society Index 2020 realizzato dalla società di comunicazione nippo-londinese Dentsu Aegis Network, l’abbandono inizia già quell’anno, ma trova un incremento a partire dal 2022 e vede tra le motivazioni anche la necessità di limitare la quantità di dati condivisi in rete: così, quel 20-25% di giovani che, nella fascia dei 18-24 anni, chiudono i propri account tengono in forte considerazione misure di sicurezza come la cancellazione della cronologia o la disattivazione della geolocalizzazione.

Ciò che rimane ancora incompresa è la pericolosità di riempire i social media di foto dei bambini – il cosiddetto “sharenting”, che nutre una parte del mercato pedopornografico presente sui social media – o di usare i device digitali con bambini troppo piccoli non solo per sapere come usarli, ma anche per capire se volerli usare o meno.

Senza social, rivoluzione o lusso?

10 ragioni per cancellare subito i tuoi account social non è uno studio accademico, né un’inchiesta giornalistica, tantomeno l’autore affronta l’argomento dal punto di vista sociologico o psicologico (p.33): Jaron Lanier è un informatico e da informatico scrive, adottando un tono di voce “pop” che, però, sembra in parte disattivare un messaggio dalla importanza evidente.
Ma a mitigare l’effetto-denuncia del suo testo, ancor più, partecipa la scelta narrativa di coniare un acronimo – “FREGATURA”, nella traduzione italiana di Francesca Mastruzzo (maiuscolo nell’originale)[3] – che sta per “Fornire ai Re dell’Economia Globale Annunci che Trasformano gli Utenti Ridotti in Algoritmi” e indica «una macchina statistica che vive nei cloud informatici» (p. 32).

Sono, entrambe, scelte necessarie per arrivare ad un pubblico di non addetti ai lavori quanto più ampio possibile, all’interno di un quadro dove scarseggiano «ricerche scientifiche rigorose» in materia e «sufficienti risultati» necessari a descrivere il problema. Scelte che depotenziano non solo una giusta – e necessaria – critica al sistema che da quelle piattaforme guadagna, non solo in senso monetario, ma che permette di nascondere sotto al tappeto una domanda fondamentale alla luce degli scandali (Cambridge Analytica), dei danni psicologici (Fomo; chirurgia da filtro Instagram) e socio-politici (incidenza sulle elezioni democratiche): perché, nonostante li usiamo da un paio di decenni, non abbiamo mai messo in discussione i social media?

La principale critica alla possibilità di cancellare gli account social – citata dallo stesso Lanier – è che disiscriversi sarebbe un lusso per troppe persone. È una critica giusta, puntuale e oggettiva, dato che molte carriere, tanto milionarie quanto precarie, sono oggi strettamente legate ai social media. Ma ciò apre ad un’altra domanda. L’”era” dei social media non è che una fase all’interno dello sviluppo di internet, e ancor più piccola sezione nella evoluzione di quelle relazioni umane che i proprietari delle piattaforme dicono di voler migliorare: siamo sicuri che i social media siano davvero imprescindibili come ci vengono venduti, anche alla luce dell’abbandono di massa della Gen-Z?

Dall’abbandono all’alleanza...e ritorno?

Dieci Ragioni per cancellare subito i tuoi account social non chiama alla guerra tra chi crea le infrastrutture digitali e chi le usa, che siano i social media, l’intelligenza artificiale o il più basilare uso della rete: quella che chiede Jaron Lanier è un’alleanza tra le parti, una sfida lanciata dai signori Pebkac al suo mondo di informatici, algoritmi e nuvole di dati. Saremo in grado di raccoglierla, tornando a considerare internet come strumento utile – e necessario – allo sviluppo delle persone, delle comunità e della democrazia, o ci accontenteremo di continuare a sfruttare le potenzialità della rete, social media compresi, per il food porn, per ruttare sotto i post di capi di governo (una prova di narcisismo tipicamente involuta con le piattaforme) e lavorare, gratis, alla nostra stessa sorveglianza?

Scheda tecnica:

Dieci ragioni per cancellare subito i tuoi account social,
di Jaron Lanier, traduzione italiana Francesca Mastruzzo,
Il Saggiatore, 2018, p.160


Note:

  1. Su Inchiostro Politico, per una serie di motivi, ho adottato la dicitura social network. In questo articolo uso invece social media per semplice attinenza alla scelta fatta per la versione italiana del libro
  2. La versione italiana è edita da Il Saggiatore, nel 2018, per la traduzione di Francesca Mastruzzo; dello stesso anno è la versione originale Ten Arguments for Deleting Your Social Media Accounts Right Now, edito dalla casa editrice newyorkese Henry Holt&Co.
  3. Behaviours of Users Modifided, and Made into an Empire for Rent”, o “BUMMER”, nella versioine inglese, “il comportamento degli utentii, modificato e trasformato in un impero in affitto” la traduzione letterale

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