Cercavamo i proiettili nei dizionari/e la polizia ci canta la ninnananna alla scuola Diaz/Sacco e Vanzetti si rigirano sulle sedie elettriche/Nei tuoi occhi annegheremo, e la Digos ci farà un servizio fotografico/Ti lascerai dietro catastrofi. Ma ci sarà sopra il copyright

(Vasco Brondi - "Cosa racconteremo di questi cazzo di anni zero")

martedì 20 agosto 2024

#All'arme/1 - Voi portate le armi, noi ci mettiamo la guerra [Achtung Disertoren! #2]


Ursula von der Leyen chiama all’Unione militare mentre i signori della guerra svuotano gli arsenali. Il caso Torino e la repressione “industriale”. Quanti miliardi servono per distruggere il mondo?


A Faber, che il Potere insegnò a disertare

I carri armati russi per le strade di Lisbona come le boccette d’antrace che Colin Powell presenta il 5 febbraio 2023 al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite: entrambi fatti irreali ma ben rappresentati nell’immaginario dei media atlantici. Così come lo è la guerra nucleare di Putin: a giugno 2024 è addirittura Jens Stoltenberg, segretario generale della Nato, a smentire in modo inequivocabile la notizia. Volendo seguire in modo acritico l’informazione atlantica, la guerra nucleare sarebbe a due passi e la calata “neo-sovietica” per le strade della capitale portoghese sarebbe certa in caso di capitolazione di Kiev. A ben guardare, in quella che è ormai nota per essere una costruzione sceneggiata della guerra in Ucraina di stampo atlantico, anche Vladimir Putin diventa più un alleato à la Noriega[1] che il mefistofelico Nemico dei mai davvero chiariti “valori occidentali”.

Sceneggiare la guerra

È ormai verità storica che, al suo stato naturale, la guerra in Ucraina sarebbe durata 2 mesi, forse anche meno. A fermare tutto sarebbe bastato l’Accordo di Istanbul che, se rispettato, avrebbe fatto parlare di un ennesimo conflitto regionale “lampo” nel cuore dell’est Europa, come già accaduto per la Guerra dei 5 giorni” tra Russia e Georgia dell’agosto 2008. Una blitzkrieg – venduta come progetto putiniano – non è però negli interessi della classe dirigente eurostatunitense, che invia ad Istanbul l’allora primo ministro britannico Boris Johnson per sabotare l’accordo raggiunto tra Mosca e Kiev. Due gli obiettivi di Washington e, di conseguenza, di Bruxelles:

  • Mandare un messaggio alla Cina
  • Smaltire arsenali al limite dell’utilizzabilità – come l’uranio impoverito britannico – che, invendute, costringerebbero le aziende produttrici ad inscrivere in bilancio perdite economiche e finanziarie consistenti

Un piano rafforzato anche da un “tacito patto d’onore” con al centro l’incolumità del Presidente ucraino Volodymyr Zelensky, stilato agli inizi del conflitto tra Vladimir Putin e Naftali Bennett, ex primo ministro israeliano (2021-2022) e mediatore tra Mosca, Kiev e Washington. Progetto che, a differenza dell’Accordo di Istanbul, nessuno in questi 2 anni ha boicottato [ne parleremo in modo più approfondito in un prossimo articolo, ndr]. Un piano rafforzato da una regola aurea del commercio: una volta svuotati, i magazzini devono essere riempiti, che sia di pane, pannolini, carri armati o missili “intelligenti”.

Il cattivo “duro e puro” del perfetto stereotipo cinematografico – le cui dichiarazioni sull’opzione nucleare dovrebbero stupire tanto quanto sentire il Papa parlar male del diritto all’aborto – l’eroe inatteso (nel nostro caso un comico eletto Presidente grazie ad un telefilm) che si ritrova dall’essere un signor nessuno al portare il peso della Grande Impresa e il saggio e spesso più anziano aiutante di quest’ultimo: più che una guerra, quella in Ucraina sembra essere stata imbastita come la sceneggiatura dell’ennesimo war movie hollywoodiano. O forse come una di quelle serie in cui, con l’evolversi della storia, si scopre che la differenza tra “buoni” e ”cattivi” non è così netta come sembra all’inizio.

Cercasi nemico per militarizzare l’Europa

«La minaccia di una guerra potrebbe non essere imminente, ma non è impossibile»: così, il 28 febbraio 2024 tuona dal pulpito del Parlamento europeo Ursula von der Leyen, Presidente della Commissione europea ed ex ministra della Difesa per il governo tedesco (2010-2019). Quando si dice il caso, a volte. Anche la siccità nell’emisfero nord del mondo è un grave problema – come denuncia l’ONU - che potrebbe non essere imminente ma non impossibile, eppure sembra interessare decisamente meno al “governo” europeo, che pone 3 ex ministri della Difesa – von der Leyen oltre a Paolo Gentiloni (Esteri) e Didier Reynders (Giustizia) – in ruoli chiave per gli equilibri interni ed esterni con l’industria delle armi.

I rischi di una guerra non dovrebbero essere esagerati, ma dovrebbero essere preparati. E tutto ciò inizia con l’urgente necessità di ricostruire, rifornire e modernizzare le forze armate degli Stati membri[...]Così facendo, l’Europa dovrebbe sforzarsi di sviluppare e produrre la prossima generazione di capacità operative vincenti. E per garantire che disponga della quantità sufficiente di materiale e della superiorità tecnologica di cui potremmo aver bisogno in futuro. Ciò significa potenziare la nostra capacità della difesa nei prossimi cinque anni

Riecheggia forte, nelle parole di von der Leyen, quel «lei fornisca disegni, io fornirò guerra» ordinato da William Randolph Hearst, proprietario del New York Journal, al giornalista inviato a raccontare la guerra tra Stati Uniti e Spagna per il controllo di Cuba nel 1898.

Quanti miliardi servono per distruggere il mondo?

«L’Europa deve spendere di più, spendere meglio, spendere in modo europeo», continua von der Leyen nel suo discorso: l’obiettivo dichiarato è coprire il 35% dell’intero mercato globale delle armi entro il 2030. Una dichiarazione che rende evidente come, per il blocco eurostatunitense, non ci sia mai stato un problema di democrazia o violazione dei diritti umani in Ucraina, né nel resto delle aree in cui Washington e Bruxelles intervengono, in modo più o meno diretto, manu militari. A riprova basti l’annuncio, da parte della Commissione, di un ulteriore stanziamento da 1,5 miliardi di euro per il settore armiero europeo con scadenza 2027: quali aree del mondo dovremo infiammare per rientrare dell’investimento?

Nel solo 2023, evidenziano i dati Sipri[2], questa pretesa porta ad un investimento in armi di 552 miliardi di euro dai Paesi dell’Unione (+16% rispetto al 2022 e +64% rispetto al 2014) e di 900 miliardi per Washington, su una spesa militare totale di 2.443 miliardi (+6,8%). Per lo stesso periodo, invece, il fondo per l’aiuto pubblico allo sviluppo mondiale sono stati stanziati a livello globale 224 miliardi di dollari. Per la prima volta dal 2009, continua il rapporto [in .pdf] dell’istituto di ricerca svedese, tutti e 5 i continenti hanno aumentato l’investimento in armi: nessuno di loro, comunque, ha raggiunto la spesa della Nato pari a 1.341 miliardi di dollari.

Per militarizzare l’economia europea – piano evidente nelle parole di von der Leyen – la Strategia di difesa[3] diventa un programma industriale e non solo militare, mentre i 6,1 miliardi dello Strumento europeo per la Pace vengono dirottati «per sostenere le forze armate ucraine con attrezzature e forniture militari letali e non letali» per aggiungersi, così, al Fondo europeo per la Difesa, belligerante anche a livello nominale. Ce lo chiede – o meglio ce lo ordina – già da tempo la Nato, imponendo ai Paesi membri la destinazione alla spesa militare del 2% del Pil. Paesi aderenti al 2024? Meno della metà. Cosa hanno a che fare tutte queste cifre con la Democrazia e la difesa dei “valori occidentali”? Niente.

urFortezza d’arme, denari e repressione

«Potenziare la nostra capacità della difesa nei prossimi cinque anni», per il sistema di Potere che ruota intorno ad Ursula von der Leyen e alla sua Commissione, significa anche stringere i rapporti tra armi e finanza, permettendo un maggior «accesso al capitale» per il comparto militar-industriale da un lato, con un maggior coinvolgimento della Banca europea per gli investimenti in chiave militarista: per l’Europa è il definitivo passaggio dall’Unione dei popoli al ruolo di tesoriere per i signori della guerra e delle armi e la cancellazione di ciò che rimane, ormai ad un mero livello teorico, di Democrazia e volontà popolare.

Va in questa direzione, ad esempio, il definanziamento del Fondo sovrano europeo[4] – che passa da 10 a 1,5 miliardi – e soprattutto la profonda modifica della sua destinazione d’uso, riconvertita dall’impegno contro la minaccia climatica al finanziare l’industria delle armi e il suo indotto, tra cui quel sistema di criminalizzazione dei migranti che li pone nel ruolo di perfetto capro espiatorio su cui sviluppare nuove leggi repressive e nuove tecnologie militari. A discapito di chi, da questa Europa “unita”, si illude di poter ancora ricevere Pace, pane, istruzione, libertà e servizi pubblici accessibili a tutti.

È una completa riconversione bellica che trova accelerazione tra il 2019 ed il 2021, con la creazione prima della Direzione generale per l’industria della difesa e dello spazio (2019) poi, nel 2021, con il finanziamento per 8 miliardi di euro del neonato Fondo europeo per la Difesa, da spendere nel periodo 2021-2027. Entrambi vengono creati per garantire, sviluppare e innovare la competitività delle armi europee sui mercati internazionali, cui Bruxelles si rivolge con strumenti come l’European Peace Facility[5] e la consolidata politica di esternalizzazione delle frontiere e della loro difesa: emblematico di questa conversione parareligiosa è che l’agenzia europea oggi più finanziata, con 5,6 miliardi, sia Frontex, che proprio tramite l’EPF sta ampliando la propria offerta alla difesa di Paesi alleati della urFortezza come Senegal e Mauritania.

Per blindare questa “via europea” alla spesa militare in vista delle elezioni europee, l’attuale “governo” del continente stringe i cordoni della spesa sociale, ritocca il rapporto tra debito pubblico e Prodotto interno lordo e tra Pil e deficit dei Paesi membri, ufficialmente per mitigare l’aumento dei tassi di interesse decretato dalla Banca centrale europea. Pratiche di austerità letteralmente armata, potremmo definirle: una decisione che, tanto a livello continentale che nazionale, svilupperà i suoi effetti antidemocratici con governi diversi da quelli oggi in carica.

Involuzione antidemocratica a mano armata

Un progetto, quello presentato dalle parole di Ursula von der Leyen, che a meno di rivoluzioni negli equilibri istituzionali alle elezioni di giugno 2024, andrà di pari passo con forme di militarizzazione politica e sociale: è il caso del dibattito sulla possibilità di reintrodurre la leva obbligatoria dal Baltico alla Francia – alcuni la usano di nuovo da anni, altri non l’hanno mai abolita né sospesa – o del progetto di “scudo nucleare” proposto dalla Germania. Propositi che, uniti insieme come nei giochi d’enigmistica, mostrano il piano per la costruzione di una nuova Architettura europea, in chiave autoritaria, con la quale Bruxelles sta abbandonando i vecchi orpelli novecenteschi del rispetto della democrazia e della tutela dei diritti umani quando questi non aderiscano all’agenda economica degli Stati Uniti. Aderenza del tutto casuale, s’intende. Una riforma iniziata da anni lungo i confini della urFortezza, grazie alla politica di accordi con dittatori-amici come Recep Tayyp Erdoğan in Turchia o Abdel Fatttah al-Sisi in Egitto e sempre più rivolta anche contro i suoi stessi cittadini.

Una chiara involuzione democratica, questa, che non dipende solo dal ritorno al potere di partiti e blocchi di potere di chiaro stampo fascista, ma anche – soprattutto? – da un complesso militar-industriale la cui forza di pressione appare sempre meno contrastabile, tanto da arrivare oggi, con facilità, fin dentro le aule scolastiche ed universitarie.

Un’Europa militarizzata e...autolesionista?

Tutto questo, scrive in un’ampia analisi Colin Gannon su Jacobin Italia, serve all’Unione-Fortezza per mostrare a Washington un servilismo ancor più stringente degli anni passati, in funzione antirussa oggi e anticinese domani. Nonostante, evidenziano vari analisti agli inizi della guerra in Ucraina, la campagna militare di una interessata amministrazione Biden serva anche, o forse soprattutto, per mantenere l’Europa in uno stato di perenne crisi economica «imminente» e «non impossibile», naturalmente.

Negli uffici più importanti delle istituzioni europee vendono questo progetto sotto l’etichetta di “Europa geopolitica”, una sorta di servizio di polizia continentale a disposizione di Washington, che avrebbe così la possibilità di muovere le guerre del futuro – tutte con il vecchio obiettivo di mantenere un ruolo di supremazia sul mondo - senza aver bisogno di portare sul terreno propri militari. Lo sviluppo di tecnologie per robotizzare le guerre del futuro va esattamente in questa direzione. Perché Democratici e Repubblicani hanno imparato una sola lezione dalle guerre del passato: cioè che le «spoglie nelle bandiere legate strette perché sembrassero vere» di cui cantava Fabrizio De André portano molta rabbia sociale e pochi, pochissimi voti.

Case study: Torino e la cittadella-laboratorio di militarizzazione

Tav verso Lione, Aerospace and Defence Meeting, Cittadella dell’Aerospazio: sono i tre perni della trasformazione in chiave militarista della città di Torino che, evidenze alla mano, acquisisce sempre più importanza per il complesso militar-industriale europeo. Tutto inizia già nel 1989 con la repressione del movimento NoTav, opera inutile per le popolazioni ma ben inserita nella geografia dei corridoi di mobilità militare Nato[6], così come il Ponte sullo Stretto di Messina. Così, mentre governi italiani di ogni colore e composizione si susseguono nella lotta contro uno dei più importanti e storici movimenti di protesta popolare italiani, Torino dal 2008 diventa anche sede dell’Aerospace and Defence Meeting, una delle troppe fiere-mercato d’armi che l’industria organizza in tutto il mondo.

Per approfondire:
Il Tav all’interno dei corridoi di mobilità militare europea. Il processo di militarizzazione dei territori – Assemblea NoTav Torino e Cintura, 2022 [in .pdf]

È solo l’inizio di un piano di architettura politico-economica che nei prossimi anni, grazie all’arrivo dei fondi Nato (Nato Innovation Fund[7]) e di una parte degli stanziamenti del Piano nazionale di ripresa e resilienza, vedrà la costruzione della “Cittadella dell’Aerospazio”, inserita all’interno del progetto “Diana” (“Defence Innovation Accelerator for the North Atlantic[8]) per la costruzione di un hub militare – tra i 184.000 e i 200.000 m2 – che dal 2026 diventerà sede di ben 70 aziende dell’industria delle armi, del Politecnico, di un Museo dell’Aeronautica oltre che di vari spazi per co-working, laboratori e residenze, come si legge nell’analisi realizzata da Angelo Mastrandrea per l’Essenziale.

Particolarmente scomoda appare la posizione del Politecnico, appartenente alla Rete delle Università per la Pace e, contemporaneamente, firmatario di diversi contratti con alcune tra le più importanti aziende di produzione di armi d’Europa – come Leonardo, Avio Aero, Thales Alenia Space, Collins Aerospace e Atlec, tutte con sede in città – e con Frontex, l’Agenzia europea che controlla guardia costiera e confini, per la quale svilupperà materiale cartografico utile al respingimento dei migranti.

È evidente anche all’occhio più distratto come questo progetto – che ha un impatto evidente sul piano politico-economico, su quello culturale e sull’urbanistica della città – risponda a necessità molto diverse dalla volontà popolare e permetterà di spostare altro denaro pubblico dalla spesa sociale alle armi, nell’ambito di quell’obbligo di destinare il 2% del Pil nazionale proprio alla spesa militare secondo i desiderata atlantici: per l’Italia, nel 2024 fermatasi all’1,46%, significa aumentare la spesa militare da 25 a 38 miliardi di euro, in una condizione socio-economica che vede il taglio di 28 miliardi di euro alla sanità in 10 anni e un disinvestimento di mezzo punto percentuale all’investimento pubblico in istruzione, che passa dal 4% al 3,5%.

Tu come la definisci la parola “nemico”?

Se l’Europa e, per estensione, l’area atlantica si trasformano in uno “Stato militare”, è una conseguenza logica per la sua classe dirigente censurare la voce di chi dice che alla Pace – “giusta” o meno – non ci si possa arrivare attraverso le armi: sia la campagna d’Ucraina quanto l’appoggio incondizionato ad Israele per il genocidio nei Territori Palestinesi Occupati mostrano come i veri nemici non siano né Putin né Hamas (peraltro ampiamente legata sia ad Israele che, via Algeria, all’Italia) ma quel movimento pacifista, antimilitarista e nonviolento che, in una società sempre meno acculturata e dal pensiero semplificato, viene accusata di “putinismo” o ”antisemitismo”.

Accusa che nel pieno delirio atlantico non risparmia nemmeno il Papa quando, tra un inutile appello e l’altro, chiama alla Pace o denuncia ciò che qualunque cartina politica rende evidente nella guerra in Ucraina: l’erosione da parte della Nato della zona-cuscinetto tra mondo atlantico e Russia non può non essere considerata come uno dei pilastri su cui si è fondato il conflitto.

Nato-Russia: come stuzzicare l’orso e pretendere che non morda

C’era un patto, alla fine della Guerra Fredda. Meglio: c’era un patto che ha portato alla fine della Guerra Fredda, almeno secondo quei libri di storia su cui, però, di questo accordo non vi è traccia. Un patto che impone la creazione di una fascia di Paesi-cuscinetto lungo la linea di confine tra l’area atlantica e l’Unione Sovietica: a stipularlo sono i rispettivi presidenti George H.W. Bush e Mikhail Gorbačëv. A smantellarlo, nel 1997, è Bill Clinton, che succede a Bush alla Casa Bianca.

Di questo patto, che non ha forma scritta ma di cui è certa l’esistenza, c’è un punto che alla democratica – nel senso del partito – amministrazione Clinton interessa non rispettare: l’obbligo di non allargare la Nato ai Paesi in uscita dal Patto di Varsavia, quelle aree considerate cuscinetto tra i due blocchi ormai in via di estinzione. È l’unico punto di quel patto Bush-Gorbačëv su cui la Russia potrebbe sentirsi minacciata, soprattutto con l’arrivo al Cremlino dell’ex Kgb Vladimir Putin. Come stuzzicare l’orso e pretendere che non morda.


Questo articolo fa parte della serie "Achtung Disertoren!", l’approfondimento di Inchiostro Politico su antimilitarismo, guerra e diserzione sullo sfondo della guerra in Ucraina. È inoltre il secondo capitolo di "All’arme!", approfondimento sulla militarizzazione dell’Unione Europea.


Note:

  1. Manuel Noriega è stato generale e poi Presidente-dittatore di Panama tra il 1983 al 1989, ma anche spia per gli Stati Uniti e narcotrafficante. Deve parte del suo potere proprio alla collaborazione con la Cia - all'epoca diretta da George Bush padre - che lo usa per evitare che il Paese possa finire sotto influenza sovietica dopo l'assassinio del generale Omar Torrijos, reo secondo Washington di voler rendere Panama indipendente sia dagli Stati Uniti che dall'influenza di Mosca. Nel 1990 Noriega si consegna agli Stati Uniti, dopo esserne diventato nemico, che lo condannano a 40 anni di carcere per traffico di droga e violazione dei diritti umani
  2. Istituto Internazionale di Ricerche sulla Pace di Stoccolma (Sipri, nell’acronimo inglese) è un istituto di ricerca indipendente, fondato nel 1966, che si occupa di studi sulla Pace, su conflitti e cooperazione e sulla sicurezza internazionale. È noto soprattutto per gli studi in tema di commercio e controllo delle armi e industria della difesa, su cui ogni anno pubblica un rapporto internazionale (il “Sipri Yearbook”)
  3. Della Strategia di difesa, dello Strumento europeo per la Pace e del Fondo europeo per la Difesa parleremo, in modo più approfondito, in uno dei prossimi articoli di questa serie
  4. Annunciato nel febbraio 2023 per finanziare l’industria “ad emissioni zero”, il Fondo prevede una spesa di 66 miliardi di euro per 3 progetti specifici: il “Net-Zero Industry Act”, la legge sulle materie prime critiche e la riforma del mercato elettrico, il Fondo doveva essere uno dei perni del Piano industriale per il Green Deal, ma quando la Commissione decide di rivedere il bilancio pluriennale l’uso “ambientale” del Fondo viene prosciugato per trasformarlo in un ulteriore fondo di finanziamento per l’industria delle armi
  5. Strumento europeo per la pace (Epf, nell’acronimo inglese) è uno strumento, extra-bilancio, che l’Unione Europea istituisce nel 2021 per finanziare progetti, sia per i Paesi membri che per i partner, riguardanti la prevenzione dei conflitti, la costruzione della Pace e il rafforzamento della sicurezza internazionale. È il “cavillo” che permette ad una istituzione nata su volontà di pace di poter fornire armi e attrezzature belliche di vario tipo all’Ucraina, inserendo di fatto l’Epf nella cosiddetta “Capacità militare di pianificazione e condotta” (MPCC) istituita nel 2017. Per il periodo 2021-2027 è stato finanziato per circa 5,7 miliardi di euro
  6. Sviluppati sul tracciato della Trans European Transport Network – un reticolato che dovrebbe velocizzare gli spostamenti dlle merci via terra in Europa entro il 2030 – i corridoi di mobilità militare vengono ideati all’interno della cosiddetta “Schengen militare”, cui l’Unione europea si dedica dal 2017-2018 con l’obiettivo di convertire le reti di trasporto al “dual use”, cioè al doppio uso civile e militare: la Tav rientra nel cosiddetto corridoio Mediterraneo, il cui scopo è mettere in collegamento diretto la Spagna con l’Ucraina. Il ponte sullo stretto di Messina rientra nello stesso progetto, oltre che negli interessi delle mafie
  7. Formato dai 23 membri dell’Alleanza Atlantica, l’NIF è il primo fondo di venture capital multi-sovrano al mondo – cioè un fondo che si occupa di investimenti ad alto rischio – creato dalla Nato per investire in startup e fondi deep tech (biotecnologie, robotica, etc.) attive nei campi della difesa e della sicurezza. Al momento della creazione ha un portafogli da 1 miliardo di dollari, a cui si aggiungerà la quota portata dall’ingresso della Svezia, diventata Paese Nato dal marzo 2024
  8. Programma che dal 2021 sostiene start-up e piccole medie imprese (un “acceleratore di innovazione”, in gergo) appartenenti a Paesi membri Nato e attive nello sviluppo di tecnologia dual-use e in campi come i big data, intelligenza artificiale, spazio, nuovi materiali

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