Cercavamo i proiettili nei dizionari/e la polizia ci canta la ninnananna alla scuola Diaz/Sacco e Vanzetti si rigirano sulle sedie elettriche/Nei tuoi occhi annegheremo, e la Digos ci farà un servizio fotografico/Ti lascerai dietro catastrofi. Ma ci sarà sopra il copyright

(Vasco Brondi - "Cosa racconteremo di questi cazzo di anni zero")

lunedì 2 settembre 2024

Ucraina, dove "tutti suonano come vuole la Libertà" [Achtung Disertoren! #6]


La guerra in Ucraina poteva essere evitata, ma gli interessi atlantici hanno obiettivi diversi dalla Democrazia. Tra terre rare, escalation militare e peacewashing, tu lo conosci Andy Rocchelli?


Tavola periodica degli elementi

Ad oltre 2 anni dall'inizio (mediatico) della guerra, l'unica certezza è che il futuro dell'Ucraina non prevede né autonomia e neutralità – tanto da Washington quanto da Mosca – né rispetto per la volontà della popolazione locale. Lo scontro "valori occidentali vs barbarie" con cui il conflitto viene presentato fin dal 24 febbraio 2022 nasconde niente di più che la vecchia guerra per gestire risorse energetiche: secondo Svitlana Krakovska[1], anzi, «senza combustibili fossili questa guerra non sarebbe stata possibile».

Dovrebbe mostrare tutta l'ipocrisia atlantica il dato – riportato da Stella Levantesi su DeSmog, qui ripreso da Internazionale – secondo il quale nel primo mese di invasione i Paesi europei votano in favore delle sanzioni mentre spendono 17 miliardi di euro per acquistare petrolio, gas e carbone da Mosca, con la quale i rapporti commerciali non sono mai davvero bloccati, né da "amici" né, appunto, da "nemici".

Fossili di guerra

Abbiamo già affrontato in un precedente capitolo di questo approfondimento l'importanza strategica della regione mineraria del Donetsky Bassein (Donbass, per contrazione), che nel 2014 – con l'inizio reale del conflitto – l'area passa dall'essere una «regione ricca a fanalino di coda» dell'economia nazionale, come titola un articolo su LaVoce.info del 29 aprile 2022 firmato da Gianluca Caselli, Luisa Loiacono e Leonzio Rizzo. Secondo le analisi SecDev, società canadese che si occupa di analisi del rischio, nei primi mesi di guerra la Russia riesce ad appropriarsi del:

  • 63% di giacimenti di carbone ucraini
  • 42% dei giacimenti di metalli
  • 33% dei giacimenti di terre rare e risorse minerarie
  • 11% dei giacimenti di petrolio
  • 20% dei giacimenti di gas naturale, che l'Unione Europea rende ancor più strategico inserendolo nel carnet delle fonti energetiche "di transizione" verso l'economia "verde"

Tradotto in dato non percentuale, SecDev fissa in 13.000 miliardi di dollari i depositi energetici ucraini passati sotto il controllo di Mosca già nelle prime fasi di guerra. Un giro d'affari capace di riscrivere i rapporti di forza in un mercato strategico – sia europeo che globale – e di conseguenza degli equilibri politici, economici e finanziari che guidano le relazioni internazionali di oggi. Una letterale montagna di soldi e Potere che non può essere lasciata al nemico, orso o aquila che sia.

Inoltre, con l'89% dei parchi eolici ucraini situati nei territori "separatisti", la guerra pone un serio interrogativo anche sulla possibile svolta ambientalista-rinnovabile dell'Ucraina dentro e dopo la guerra. Una condizione che mostra ancora una volta come le vere motivazioni dell'intervento atlantico in Ucraina – sempre meno indiretto, stando alle dichiarazioni dei leaderini d'Europa – non trovino spazio per la democrazia e i diritti delle persone.

In quella che nei fatti è, anche, una guerra energetica, il gas non può che ricoprire un ruolo di primo piano, non solo perché per anni l'Europa ignora le richieste statunitensi di sostituire il gas russo con il gas naturale liquefatto (Gnl) a stelle e strisce, ma anche perché da tempo l'industria del settore fa pressione sulla Casa Bianca per ottenere «leggi che garantiscano la leadership e la sicurezza energetica degli Stati Uniti sul lungo periodo», in modo che le aziende statunitensi possano mantenere un forte impatto sul mercato globale.[Campagna "Stop Oil Profiteering"].

War for oil

Il punto non è però sostituire il gas russo con quello statunitense – o con lo stesso gnl russo – ma emancipare il mondo dall'uso dei combustibili fossili e dal sistema di Potere lobbistico-politico che si sviluppa sulle risorse energetiche. In un sistema bellico che pone tutti i contendenti all'interno del "gioco"capitalista, tanto il fronte atlantico che quello russo sono sottoposti ad una evidente pressione che le compagnie petrolifere e del gas esercitano per l'esplosione letterale del conflitto tra Washington e Mosca: dal lato atlantico, società come BP, Exxon, Eni o Shell pretendono leggi che diano loro piena libertà di profitto; dal lato russo i ricavi di esportazioni ed esplorazioni vengono impiegati per finanziare e rafforzare l'industria militare che, naturalmente, dal 2022 rende materialmente possibile la guerra in Ucraina.[U.S. and NATO'S Unprecedented Weapons Transfeers to Ukraine Could Prolong the War]

And you call it Peace(washing)?

Guardando agli interessi energetici e militari, è lapalissiano come l'azione "umanitaria" dei Paesi atlantici risponda ad una logica di puro peacewashing[2] necessario all'esistenza stessa dei due settori politico-industriali: emblematica la situazione in cui si trova il comparto dei combustibili fossili, la cui esistenza è messa in pericolo da quei cambiamenti climatici che il loro stesso core business facilita. Per questo conflitti legati alle risorse energetiche, come quello in Ucraina o in Sudan, in Angola o Repubblica Democratica del Congo, sono una necessità per la sopravvivenza del sistema di Potere legato a petrolio e gas.

Una autoconservazione garantita e rafforzata anche dalla scelta, scellerata e priva di logica persino linguistica, che nell'agosto 2022 porta i tecnici di Bruxelles ad inserire i combustibili fossili tra le risorse energetiche "verdi" della tassonomia europea.

Il Paese non democratico "baluardo" della democrazia

È peacewashing anche sostenere che l'Ucraina di Volodymyr Zelensky sia l'ultimo baluardo a difesa dei valori occidentali – intendendo in questo valori "naturalmente" democratici – quando i più importanti indici di analisi atlantici (Freedom House, Economist, Reporters senza frontiere) dichiarano che l'Ucraina non è uno Stato democratico. A meno di non voler ammettere che sono gli stessi valori occidentali a non essere democratici. In entrambi i casi, comunque, Zelensky porta in guerra un Paese che ha già:

  • cancellato la cultura russa – che rappresenta quasi 1/5 della popolazione e fondamento storico dell'identità locale – proibendo la pubblicazione e l'importazione di musica e libri di autori che non rinneghino la propria identità russa in favore di quella ucraina
  • vietato l'espatrio a tutti gli uomini tra i 18 ed i 60 anni d'età, adottando una legge che viola il Patto internazionale dell'Onu sui diritti civili e politici del 1976 e il 4° Protocollo addizionale alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'Uomo e delle libertà fondamentali del 1963
  • arrestato migliaia tra disertori ed obiettori di coscienza militare: la campagna internazionale "Object War" riporta che già ad ottobre 2022 sono oltre 5.000 i processi aperti contro gli obiettori di coscienza nei tribunali ucraini, cui vanno aggiunti altri 3361 processi per diserzione già in dibattito nel 2020
  • reso illegali 12 partiti di opposizione, chiuse le 3 principali emittenti televisive nazionali e censurato le altre
  • lasciata libera diffusione al nazifascismo, alleato del Potere atlantico nella campagna di "occidentalizzazione" del Paese
  • "riconvertito" al neoliberismo atlantico molti oligarchi ucraini[3] nati sotto il sistema sovietico, oggi considerati sostenitori della democrazia e in futuro, a guerra finita ed epurati i più impresentabili, probabili gestori della ricostruzione post-bellica per nome e conto dei Paesi e delle organizzazioni internazionali finanziatrici

Da qualunque lato la si guardi queste sono decisioni "autoritarie", oggettivamente. Ed oggettivamente bisogna chiedersi perché le consideriamo attacchi alla democrazia se a firmare tali leggi sono i Putin, i talebani in Afghanistan o gli ayatollah iraniani ma non se vengono raccontate dai latifondi mediatici come "leggi anti-russe" del governo ucraino. Allo stesso modo ci si dovrebbe chiedere perché, se Vladimir Putin occupa illegalmente il territorio ucraino parliamo di "crimine" ma se a farlo – da decenni – è Israele nei Territori occupati palestinesi ciò non costituisce violazione alcuna della "universalità" dei diritti umani?

"E tutti suonano come vuole la libertà"

È un "doppio standard" quello atlantico – la precisa accusa che muovono il Sud Globale ed i Paesi dissidenti all'Onu – che in questi 2 anni si è sviluppato anche le sistema mediatico, in cui i latifondi mediatici sono tornati a lavorare con un braccio legato dietro la schiena come ai tempi della 1° Guerra del Golfo (1990-1991). Scrive Mimmo Cándito ne "I reporter di guerra"[4]

Nel Golfo, per sei mesi il Pentagono ha potuto farci raccontare che assistevamo allo spettacolo di una guerra elettronica, asettica, chirurgica, senza morti e senza sangue. In Jugoslavia, tecniche pubblicitarie ci hanno venduto una guerra dove per quasi 10 anni la ragione e il torto avevano perduto ogni capacità di orientamento: restava solo l'orrore, almeno fino a quando l'entrata in campo dei «nostri ragazzi» nella non-guerra del Kosovo ha schierato finalmente da questa parte la causa della Giustizia, e ha ammassato dall'altra parte tutto il Male, aprendo la strada all'ultima manipolazione

Nei 10 anni di conflitto reale, molti giornalisti subiscono l'interesse dei servizi segreti e della censura ucraina, accusati di "attività contro lo Stato" – sinonimo in burocratese per indicare "terrorismo" – e collaborazionismo con la Russia, lo stesso che i governi fanno a livello commerciale ma che pare subire minor disprezzo. È il caso del giornalista spagnolo Pablo González, che si ritrova l'intelligence di Madrid – che non avrebbe alcun ordine da eseguire dal governo ucraino – alla porta di casa di familiari e amici, mentre i giornalisti italiani Andrea Sceresini, Alfredo Bosco, Salvatore Garzillo e Lorenzo Giroffi entrano nelle liste di proscrizione che circolano in tutta l'Ucraina fin dal 2016. La realtà di fatti vede la loro unica "colpa" nell'aver lavorato nei territori separatisti del Donbass, rendendo dignità – forse per l’ultima volta – alla "questione giornalistica" in Ucraina.

Tu ti ricordi di Andrea Rocchelli?

Per l'Italia la libertà di informazione ucraina muore ufficialmente il 24 maggio 2014 intorno alla collina di Karachun (regione del Donbass), quando i militari della Guardia Nazionale e della 65° Brigata Aviotrasportata dell'esercito giocano a tiro al bersaglio lanciando colpi di mortaio contro il fotoreporter italiano Andrea "Andy" Rocchelli, Andrej Miranov – attivista russo per i diritti umani dell’organizzazione Memorial – e il fotoreporter francese William Roguelon, l'unico a uscirne vivo. «Sparavamo a tutto ciò che si muoveva», dichiarano negli anni dall'Ucraina.

Guarda:
Andy. Andrea Rocchelli, il fotografo che aveva previsto la guerra – Spotlight, RaiNews24, 2022

Nel marzo 2022 la Corte Penale Internazionale de l'Aia risponde alla famiglia Rocchelli condannando a 24 anni Vitaly Markiv, militare del Gnu – con doppio passaporto italo-ucraino – quale autore materiale degli omicidi, dopo una prima assoluzione italiana per vizio di forma. Non condannabile invece il generale Mikhailo Zabrodksyi, indicato come vertice della catena di comando nel "tiro a segno", diventato nel frattempo parlamentare e, aggiungendo beffa a danno, membro del "gruppo di amicizia Italia-Ucraina".

«Oggi abbiamo la verità, ma non la giustizia», dichiarano i genitori di Rocchelli al Manifesto, mentre è ancora nelle prime fasi l'attività di indagine di una apposita commissione del CPI, affidata al procuratore generale Karim Ahmad Khan, creata per indagare su tutte le violenze commesse in Ucraina dal 2013 ad oggi, senza distinzione di bandiera o propaganda.

Una soluzione "messicana" per fermare la guerra in Ucraina?

Donbass e Palestina, negli ultimi 2 anni di Storia internazionale rappresentano una "svolta relativista", che sta aiutando a smantellare, nell'immaginario popolare atlantico, l'ipocrisia del'"universalità" di diritti e valori che sono tipici solo di una parte della popolazione mondiale, peraltro nemmeno maggioritaria. Per capire ancora meglio, spostiamo lo sguardo dall'Europa e dal confine russo-ucraino al continente americano e al confine tra Stati Uniti e Messico: Washington impedisce a Città del Messico di ospitare basi militari di Paesi nemici come Iran, Cina e appunto Russia. Una palese violazione del principio di sovranità di una nazione estera che ha, comunque, una sua ineluttabile logica.

Ora, l'ingresso dell'Ucraina nella Nato rappresenterebbe per Mosca la stessa, identica, minaccia costituita dal Messico "nemico" di Washington: perché allora, nella visione del buon democratico universalista, il diritto a non avere nemici al confine va assicurato a Washington ma è considerato antidemocratico se a chiederne il rispetto è Mosca? Dov'è l'ideale universalista ora?

Lo stesso ragionamento e le stesse domande possono traslarsi anche alla "questione" Taiwan tra Stati Uniti e Cina, oltre che al patto di sicurezza che nel 2022 Pechino firma con le Isole Salomone, 3.000 km a nord ovest dell'Australia, che viene venduto giornalisticamente come una minaccia alla sicurezza dell'Occidente e non, in modo più realistico, come minaccia agli interessi atlantici – in primis commerciali – nell'area del Pacifico? A questo punto è necessario porsi almeno 2 domande, lasciando a chi legge trovare le risposte più opportune:

  • perché la presenza militare di un Paese straniero lungo i confini di uno Stato è "ostile" solo quando ad essere in pericolo è la stabilità dell'area atlantica?
  • Perché ciò che è considerato diritto acquisito per chi fa le regole – l'asse Nato-Washington – diventa privilegio inarrivabile per chi quelle regole può solo subirle?

Di gasdotti e terrorismi "oggettivi"

Trovare risposta a queste domande ci porta al 27 settembre 2022 e ad un'altra domanda cui, comunque, è facile trovare risposta: perché l'atto di sabotaggio del gasdotto North Stream 2, che collega direttamente Russia e Germania, non viene considerato un atto di terrorismo e, anzi, chi prova a parlarne in questi termini, come Seymour Hersh[5], viene trattato alla stregua di un vecchio arnese del giornalismo con problemi di distacco cognitivo dalla realtà?[How America Took Out The Nord Stream Pipeline]

L'esplosione, avvenuta al largo dell'isola di Bornholm, nelle acque danesi, genera un rilevante – ma poco rilevato – danno ambientale per l'immissione di gas serra in acqua e nell'atmosfera e, di fatto, colpisce un deposito di gas metano, dopo che le sanzioni contro Mosca chiudono entrambi i rami del North Stream, sul cui funzionamento Berlino basa fino a quel momento le forniture interne di gas per aziende e privati, oltre che la produzione dell’industria chimica.

Per i latifondi mediatici atlantici l'operazione terroristica non può che essere di matrice russa, nonostante proprio Mosca detenga il pacchetto di maggioranza del gasdotto. Putin viene ben presto assolto non solo dagli Stati Uniti ma, soprattutto, dalla prova dei fatti: a bombardare il gasdotto sono state le forze speciali ucraine, a quanto pare senza informare il Presidente Zelensky.

Dubbi rimangono invece sul coinvolgimento proprio degli Stati Uniti che – attraverso Victoria Nuland – giudicano «estremamente gratificante sapere che il North Stream 2 è ora[...]un grosso pezzo di metallo in fondo al mare» dopo che l'ex "inviato speciale" poi Presidente Biden il 7 febbraio 2022 minaccia che in caso di invasione russa dell'Ucraina non ci sarebbe stato più alcun North Stream 2 di cui preoccuparsi [video AdnKronos], una dichiarazione (un progetto?) che mantiene la linea indicata dall'ex (e futuro?) Presidente Donald Trump già nel 2018 e che, di fatto travalica la sovranità della Germania, che del gasdotto è controllore.

Ritorna così quell'idea che Tiziano Terzani già scriveva nel 2001, in risposta ad Oriana Fallaci: «l'immagine del terrorista che oggi ci viene additata» è tutt'altro che oggettiva[6]

La guerra tra Kiev e Mosca poteva essere fermata

4 febbraio 2023: in un'intervista con il giornalista Hanoch Daum, l'ex primo ministro israeliano Naftali Bennett (2021-2022) dichiara[7] di aver partecipato in prima persona – in quanto mediatore tra Mosca, Kiev e Washington – agli accordi di pace che avrebbero concluso la guerra ucraino-russa nel giro di qualche settimana e che, per questo, vengono bloccati «da Stati Uniti e Occidente», con l'obiettivo di bloccare il «ruolo centrale» della Russia «nell'economia energetica globale» e, in seconda battuta, l'indipendenza dell'Unione Europa.[U.S. Eyeing Russian Energy Sanctions Over Ukraine War, Officials Say]

Nella ricostruzione di Bennett, Putin e Zelensky avrebbero accettato un cessate il fuoco basato su 3 concessioni:

  • da parte russa, rinuncia alla denazificazione e al disarmo totale dell'Ucraina
  • da parte ucraina, rinuncia all'ingresso nella Nato, che Bennett indica come fulcro dell'intero conflitto

«Enormi concessioni», le definisce non a torto l'ex premier israeliano, che aggiunge di aver strappato a Putin la promessa – ad oggi mantenuta – di non uccidere Zelensky. Sull'edizione inglese di Jacobin, inoltre, Branko Marketic scrive che l'Alleanza atlantica ha definito una politica di continua escalation, attivata «ogni volta che la Russia non ha reagito con vigore alla precedente escalation occidentale». Un piano che sfrutta il carattere ed il "personaggio" Putin per imporre alla Russia una rincorsa all'escalation stessa, che rappresenta un «passo drastico e aggressivo per mostrare la serietà delle sue red lines».[We're Closer to a Nuclear Incident in Ukraine Than You Think].

Perché non rispondi alla mia escalation?

Questo gioco di escalation incrociate che, scrive il New York Times il 18 gennaio 2023, serve in chiave militare per tentare la riannessione manu militari della Crimea al territorio ucraino e, in chiave industriale, per giustificare l’invio a Kiev di armi sempre più “offensive” e in grado di colpire gli interessi russi, con l'obiettivo di rendere più forte il potere negoziale atlantico-ucraino quando Mosca, Washington e Kiev dovranno sedersi al tavolo delle trattative e trovare una soluzione definitiva al conflitto. Uno scenario certo già dal giorno primo della guerra[U.S. Warms to Helping Ukraine Target Crimea].

Una controffensiva che sta però portando l'orso russo all'angolo, almeno nella "diplomazia" ufficiale, lasciando a Putin solo due opzioni per la risoluzione con vittoria della guerra che, peraltro, non si escludono a vicenda:

  • l'apertura dello scontro diretto con la Nato, cambiando completamente la natura dell'intero conflitto
  • la soluzione nucleare

Secondo quanto dichiara a Branko Marcetic Harry Kazianis, presidente del think tank Rogue State Project, su 30 possibili scenari simulati sulla conclusione della guerra in Ucraina, solo 2 evitano l'opzione nucleare: entrambi hanno a che fare con i negoziati diretti per il cessate il fuoco. I comandi strategici di Nato e Stati Uniti confermano tali numeri. Per evitare la linea rossa del nucleare – considerata come l'ultima possibilità per la Russia prima della resa – l'unica possibilità è seguire la linea dei "telefoni rossi" tra Washington e Mosca, proprio come ai tempi della Guerra Fredda tirata spesso in ballo per il conflitto in Ucraina.[We're Closer to a Nuclear Incident in Ukraine Than You Think].

Exit strategy antimilitarista

A questo punto la domanda è d'obbligo: basta autoconferire al Potere atlantico il patentino di "difensore del mondo libero", sceriffo e tutore dei diritti umani "universali" per considerarne i suoi leaderini migliori di Vladimir Putin, del suo autoritarismo e di chi, ad oggi, lo mantiene al vertice della Russia e della sua visione geopolitica?

Inoltre, se nessuna delle due parti in causa – Washington e Russia, con l'Ucraina chiamata a giocare solo il duplice ruolo di marionetta e teatro bellico – perché la gente comune, che della guerra subisce i veri effetti, dalle case bombardate all'aumento delle bollette, dalla mancanza di grano a un mondo sempre più armato, dovrebbe sventolare la bandiera di quel Potere che dalle guerre trae solo profitto?

La giornalista Caitlin Johnstone sostiene che «questa proxy war non ha exit strategy», e forse è anche vero. Ma se cambiassimo l'habitus[8] con cui siamo abituati a guardarle, le guerre, scopriremmo che ad ogni latitudine centinaia di migliaia di persone rompono il proprio fucile, bruciano la propria divisa o la cartolina precetto mostrano ogni giorno che una strategia d'uscita dalla Guerra c'è e muove i suoi passi nelle strade contadine, nelle scuole antimilitariste, tra gli attivisti, i giornalisti e le persone comuni che denunciano il complesso militar-industriale, lo «sfruttamento dell'uomo sull'uomo» e la distruzione della Madre Terra.[This Proxy War Has No Exit Strategy]


Questo articolo fa parte della serie "Achtung Disertoren!", l'approfondimento di Inchiostro Politico su antimilitarismo, guerra e diserzione sullo sfondo della guerra in Ucraina.


Note:

  1. L'Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) è un forum scientifico delle Nazioni Unite, dal 1998 studia il riscaldamento globale seguendo 3 chiavi di lettura: studio delle basi scientifiche, impatto dei cambiamenti climatici sui sistemi naturali e umani, mitigazione del loro effetto su tali sistemi
  2. Con questo termine, crasi tra "peace" ("pace", in italiano) e "whitewash" ("insabbiare", nascondere qualcosa), si indica una specifica deriva del marketing aziendale, delle politiche di uno Stato o del finto-attivismo che sfrutta il richiamo a temi legati alla pace solo per ottenerne visibilità e profitto economico
  3. Questa pratica non è una novità ucraina: è ciò che già avviene in Italia alla fine della 2° guerra mondiale, quando molti imprenditori, quadri amministrativi e politici fascisti si "riconvertono", di propria sponte o per obbligo, all'antifascismo. Per approfondire: Claudio Pavone, "Una guerra civile. Saggio storico sulla moralità nella Resistenza", Torino, Bollati Beringhieri, settembre 2015
  4. Mimmo Cándito, "I reporter di guerra. Storia di un giornalismo difficile da Hemingway a internet", Milano, Baldini Castoldi Dalai, 2009, p.17
  5. Considerato uno dei migliori giornalisti investigativi statunitensi, l'attività di Hersh si è concentrata per lo più su mondo militare e sicurezza internazionale, diventando noto al grande pubblico soprattutto per le inchieste sulla strage di My Lai durante la guerra in Vietnam (1968) – con cui vince un premio Pulitzer nel 1970 – e sulle torture perpetrate dall'esercito statunitense ai danni dei prigionieri nel carcere di Abu Ghraib durante la 2° Guerra del Golfo (2003-2011)
  6. L'occasione è un articolo – "La rabbia e l'orgoglio" – che Oriana Fallaci viene chiamata a scrivere per il Corriere della Sera sulla reazione provata dinanzi alle immagini degli attentati dell'11 settembre 2001 che diventerà poi uno dei libri più polemici della giornalista fiorentina. La risposta di Terzani viene pubblicata dallo stesso Corriere della Sera, l'8 ottobre 2001
  7. Nella lunga intervista (oltre 4 ore), le dichiarazioni sull'Ucraina e sul ruolo di mediazione di Bennett le trovi, all'incirca, tra le 2 ore e 38 minuti e le 2 ore e 58 minuti [video]
  8. Nella teoria del sociologo Pier Bourdieu, l'"habitus" è l'insieme delle predisposizioni e degli schemi di pensiero nati dal condizionamento sociale esterno – che incide sulle scelte individuali – e a sua volta genera pratiche sociali, tanto individuali quanto collettive

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