Cercavamo i proiettili nei dizionari/e la polizia ci canta la ninnananna alla scuola Diaz/Sacco e Vanzetti si rigirano sulle sedie elettriche/Nei tuoi occhi annegheremo, e la Digos ci farà un servizio fotografico/Ti lascerai dietro catastrofi. Ma ci sarà sopra il copyright

(Vasco Brondi - "Cosa racconteremo di questi cazzo di anni zero")

venerdì 6 settembre 2024

Brogliaccio (para)etnografico sull'antimilitarismo ucraino [Achtung Disertoren! #7]


Mentre i leader preparano contratti per vendere armi all'Ucraina, le popolazioni provano a fermare la guerra con l'antimilitarismo dei fatti. Una (para)etnografia dal rapporto di Felip Daza Sierra


Terminal degli autobus di Campobasso, opera di Blu

Tifiamo per la Guerra perché non l'abbiamo in casa. Neanche oggi che un conflitto militare accende uno dei confini europei rimaniamo convinti che le immagini dei telegiornali – quando non inventate – siano sovrapponibili ai film di guerra di Hollywood o ai videogiochi, in cui arrivati i titoli di coda o spenta la console tutti si rialzano e tornano a casa. «Il missile arriva perché sia visto in televisione»[1] e quell'immagine, sparata a reti unificate, aiuta il processo di "fascinazione" popolare nei confronti dei conflitti: quel missile, per dirla con il giornalista Nico Piro, aiuta a nascondere il volto vero della Guerra, fatta di «merda, sangue, morte e dolore».

Nei fatti, significa che ad un certo punto vendere la Guerra, una strage o un genocidio non è poi così diverso dal vendere pannolini, perché l'obiettivo è lo stesso: convincere il consumatore/elettore che gli si sta vendendo la migliore delle esperienze possibili. Colpire il cuore e le menti, si chiama nel gergo del marketing, bellico e non; lavorare con un braccio dietro la schiena, lo chiamava una volta il giornalismo, quello serio e contro il Potere.

Come si dice Schwarzkopf in cirillico?

È la "rivolta" di giornalisti e reduci che contraddistingue l'ultima fase della guerra in Vietnam (1955-1975) a costringere il generale statunitense Norman Schwarzkopf[2], nell'agosto 1990, a presentarsi alla prima guerra del Golfo (1990-1991) con un doppio esercito: da un lato quello in mimetica, fucile e visore notturno, dall'altro quello che al posto dei missili imbraccia – senza più mollarlo – il controllo delle informazioni. Da quel momento, nessuna notizia relativa a quella guerra può passare il confine e arrivare sui giornali, o nei tg delle 20, senza il beneplacito delle agenzie di marketing cui, per evitare un "Vietnam 2", viene affidata la creazione dell'"immagine giusta" della guerra da vendere all'opinione pubblica internazionale.

Discostarsi pur solo minimamente da quella che si ritiene essere la "linea ufficiale" del governo Zelens'kyyj – fosse anche per gettare uno sguardo critico oltrefrontiera – è quasi diventato un tabù. Così, tra bavagli e auto-bavagli, la cronaca della guerra rischia di appiattirsi più che mai sul livello di comunicati stampa e veline

scrive Andrea Sceresini su il Manifesto del 1 luglio 2023 riportando anche un altro articolo – scritto da Alice Speri per il giornale statunitense The Intercept, dal titolo eloquente: "L'ucraina blocca i giornalisti in prima linea con una crescente censura": si è già parlato del "caso" di Pablo González o dello stesso Sceresini, che con Alfredo Bosco, Salvatore Garzillo e Lorenzo Giroffi vengono bloccati – dopo aver lavorato in Ucraina per quasi 10 anni, dal 2014 al 2023 – perché hanno "osato" fornire ai propri lettori la guerra dal territorio separatista del Donbass, area appetibile per le risorse naturali ma, evidentemente, non per la verità di fatti [vedi Achtung Disertoren! #6]. Anche Matilde Kimer, corrispondente da Mosca per Danmarks Radio, viene considerata "nemica" dell'Ucraina per aver fatto il proprio lavoro. Senza dimenticare che Andrea Rocchelli e Andrej Miranov sono stati uccisi per lo stesso motivo.[Ukraine blocks journalists from front lines with escalating censorship].

Piccolo manuale ucraino di Resistenza civile nonviolenta

Mentre i telegiornali si innamorano dei bambini che costruiscono molotov in strada, lontano dall'interesse dei latifondi mediatici il professor Felip Daza Sierra realizza un rapporto-monitoraggio sulla Resistenza antimilitarista che, così come i gruppi di cittadinanza armata, prova a fronteggiare l'aggressore russo. Realizzato insieme alla fotografa Lorena Sopena per l'Istituto Catalano Internazionale per la Pace (ICIP) e l'Istituto Internazionale per l'Azione Nonviolenta (NovAct), Ukrainian Nonviolent Civil Resistence in the Face of War copre solo i primi 4 mesi di guerra e divide le azioni, «imbarazzanti» contro il Potere, in 7 "aree"[3] che possono essere riassunte in 3 grandi obiettivi:

  • "minare i pilastri del Potere di Mosca" (punto 2) nelle aree occupate
  • "rafforzare la governance locale" (punto 4), al fine di decentralizzare l'amministrazione pubblica e democratizzare la società ucraina
  • "protezione dei civili" (punto 3) dalla repressione delle truppe occupanti, che ha costretto alla clandestinità molti dei gruppi politici che alla guerra si sono opposti in maniera attiva

Tradurre queste aree in azioni concrete significa, ad esempio, raccontare di quei manifestanti che a Chaplynka, nell'oblast ("regione") di Kherson, protestano facendo pipì sulle ruote di veicoli militari russi[4], oppure degli imprenditori ucraini che si rifiutano di aggiungere ai prezzi in grivnia – la moneta corrente in Ucraina – il loro corrispettivo in rubli russi[5]. Ma significa anche raccontare di corridoi e rotte sicure che permette l'ingresso di cibo e beni di prima necessità nelle aree occupate e, nel senso opposto, l'uscita di persone che scappano dalla guerra o dall'obbligo di dovervi partecipare.

In altri casi, la popolazione decide di opporsi all'invasore attraverso pratiche di non-collaborazione con l'amministrazione delle aree occupate: è il caso di molti presidi, insegnanti e medici che si dimettono dai propri posti di lavoro quando scuole e ospedali passano dal controllo ucraino a quello russo[6].

Noi che non rispettammo il codice della guerra

Per schierarsi contro la guerra non è necessario fare atti eclatanti come disertare o arrivare al suicidio come fa il giovane rapper russo Ivan "Walkie" Petunin: a volte basta semplicemente ricordarsi – alla maniera del Piero di Fabrizio De André – che sotto la divisa, dentro le trincee, ci sono altre persone e non macchine da guerra in stile Terminator. E forse non è un caso che il complesso militar-industriale, negli ultimi anni, stia provando proprio a sviluppare tecnologie simili.

A Novy Buh, nell'oblast di Mykolaiv, la popolazione locale non solo offre cibo e thé ad un militare russo, ma contatta anche sua madre per rassicurarla sulle sue condizioni di salute, in una concezione "transfrontaliera" della disobbedienza antimilitarista che, a differenza di quanto avviene tra le classi dirigenti dei Paesi belligeranti, sta provando ad abbattere un confine divenuto ancor più politicizzato – tutti i confini sono, per definizione, delle costruzioni puramente politiche - unendo nella stessa lotta le madri ucraine e le madri dei soldati russi, una delle storiche voci nell'opposizione al regime di Vladimir Putin fin dai tempi della guerra in Cecenia (1999-2009).[Borders: The Global Caste System].

Slavutich, prove tecniche per la Pace (impossibile?)

Slavutich è una città da 25.000 abitanti sul confine tra Ucraina e Bielorussia: il 26 marzo 2022, quasi un mese esatto dall'inizio della guerra, la popolazione scende in piazza per protestare contro l'omicidio di 3 residenti ed il rapimento del sindaco, uno degli atti tipici commessi dai militari russi nelle prime fasi dell'invasione. Ad un certo punto, scrive Daza Sierra[7], i manifestanti iniziano a marciare verso i militari, intonando l'inno nazionale e mantenendo la propria "disciplina nonviolenta": è questo che permette di risolvere la "crisi" con un negoziato di Pace in piccolo, realizzato «durante la protesta. Non dopo», come dichiara Natalia Hatimurova, presidentessa del locale consiglio comunale.

Di fatto è un compromesso, come qualunque negoziato impone: in cambio della liberazione del sindaco, ai militari viene lasciata la possibilità di perlustrare la città in cerca di armi da sequestrare. Due giorni dopo la "bonifica", le truppe russe lasciano la città. Scrive in merito Daza:

L'esperienza di Slavutich ci dice che la presenza di elementi culturali comuni e l'assenza di barriere linguistiche possono facilitare il dialogo, la fraternizzazione e l'interpellanza per persuadere l'occupante a modificare la propria mentalità

Dmitry Ivanov, di "agenti esterni" e processi "israeliani"

A fine giugno 2023 la Russia rende ancor più repressivo il corpus normativo contro l'obiezione di coscienza al servizio militare, già sottoposto alla legge contro le "fake news" belliche: chiunque si opponga alla guerra, dicono i vertici del regime di Putin, è da considerarsi un "agente esterno", evoluzione linguistica dei "nemici del popolo" storicamente cari ai regimi non democratici.

Tra chi viene processato per aver risposto "Nossignore!" alla chiamata della patria c’è Dmitry Ivanov, studente di matematica e cibernetica all'Università statale di Mosca e, soprattutto, blogger impegnato nel raccontare all'opinione pubblica internazionale come, tra la popolazione, la guerra di Putin non goda del favore plebiscitario che il regime millanta con l'aiuto della copertura "russofoba" dei latifondi mediatici atlantici. Per la sua attività di controinformazione – nella quale rientra anche la denuncia dei crimini di guerra dell'esercito russo – il 7 marzo 2023 Ivanov viene condannato ad 8 anni di carcere: le prove arrivano al tribunale grazie alla collaborazione con la società israeliana Cellbite che, analizzando il suo telefono, trova una serie di messaggi "anti-guerra", scambiati con:

  • Vasily Nebenzia, rappresentante russo alle Nazioni Unite
  • Sergey Lavrov, ministro degli Esteri russo
  • Igor Konshenkov, portavoce del ministero della Difesa russo

Nebezia e Lavrov hanno un ruolo di evidente rilievo nella struttura che porta all'invasione e alla guerra, ma il tribunale decide di non ascoltarli come testimoni in favore di Ivanov, come racconta il giornalista Sergey Smirnov su OpenDemocracy.[My friend wwas jailed for eight years for opposing Russia's war].

Ruslan Kotsaba: «Io rifiuto»

Anche il tribunale ucraino in cui si svolge il processo contro Ruslan Kotsaba ha qualche problema nel gestire i testimoni: dei 58 convocati – di cui 20 d'accusa – molti non si presentano o riportano informazioni de relato, parlando cioè di fatti a cui non hanno partecipato né assistito direttamente. [Guarda: Testimonianza di Ruslan Kotsaba al Parlamento Europeo]

Prima di questo processo Kotsaba ha già scontato oltre 524 giorni di carcere per la sua attività antimilitarista: fin dal 2014 mette il suo molteplice ruolo di giornalista, membro del Movimento pacifista ucraino e parlamentare del movimento "Pora!" per promuovere azioni pubbliche e dirette contro la Guerra e contro gli eserciti. Durante un altro processo, nel 2015, dichiara di preferire il carcere all'obbligo di combattere nelle autoproclamate Repubbliche separatiste. «Il suo caso», scrive Enzo Gargano sul sito del Centro studi Sereno Regis, «era sintomatico delle difficoltà di Kiev nel mobilitare una società stanca della guerra» [grassetto nella citazione mio, ndr].

Mentre il Paese si avvicinava alla bancarotta e il programma di riforme richiesto dalla rivoluzione di Maidan dell'anno precedente veniva messo in secondo piano dallo sforzo bellico, la spinta a chiamare nuove reclute si stava arenando

Ad oggi Kotsaba continua ad essere considerato un Nemico della patria per aver definito assassini sia Zelensky che Putin che, pur potendo, non si sono adoperati per portare a conclusione quei negoziati di Pace che avrebbero trasformato una guerra pluriennale in una crisi regionale di qualche ora.

Alekseinko: fede, fucile e sbarre

Anche Vitaly Alekseinko è un "Nemico" della patria ucraina. Il reato che gli viene imputato è aver dichiarato all'Ufficio reclutamento di Ivano-Frankivsk (capoluogo dell'omonima regione nell'ovest del Paese) di non poter assolvere agli obblighi militari perché cristiano-protestante, gruppo religioso cui dal 1999 la legge ucraina concede una sorta di esenzione dal servizio militare: "rifiuto per motivi di coscienza", si dice in gergo. Da obiettore di coscienza, Alekseinko si dichiara disponibile a svolgere il servizio civile alternativo, come la legge permette. I giudici dicono di non poter accertare il suo grado di fede religiosa e lo condannano a un anno di carcere.[Ukraine: Conscientious Objector Vitaly Alekseinko sentenced to a year in prison must be acquitted].

Alekseinko viene scarcerato il 25 maggio 2023, ma già ad agosto dell'anno precedente il ministero della Difesa ucraino "risolve" il problema adottando nei fatti la stessa linea del regime di Putin: sospese tutte le forme non militari di servizio alla patria. Decisioni che violano il Patto Internazionale dell'Onu sui diritti civili e politici del 1976, la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'Uomo e delle libertà fondamentali (1963) e la Convenzione di Ginevra: obbligare le popolazioni civili alla guerra – letta dall'altro lato, venir meno all'obbligo di proteggere i civili in tempi di guerra – è un reato previsto dalla legge internazionale: diritto umanitario internazionale si chiama, strano che chi muove guerre con lo stesso aggettivo non ne sia a conoscenza.

La condanna ha valenza chiaramente politico-repressiva: mostrare il volto feroce e militarista delle autorità nazionali sia sul piano interno che sul fronte internazionale, dove durante il processo si sviluppa una forte campagna popolare per la liberazione di Alekseinko e, in generale, di tutti gli obiettori di coscienza all'idea militarista. Alcuni di loro, denuncia Yurii Sheliazhenko – segretario del Movimento pacifista ucraino, anche lui arrestato nell'agosto 2023 – sono nei fatti desaparecidos, scomparsi e cancellati dal Registro pubblico online dei verdetti giudiziari, gestito dal Tribunale di Kiev, per «nascondere al pubblico le violazioni dei diritti umani» che anche i governi ucraini compiono dal 2014 nel disinteresse atlantico.

L'importanza antimilitarista del "Trial monitoring"

Il governo di Kiev dovrebbe salvaguardare il diritto all'obiezione di coscienza anche in tempo di guerra, rispettando gli standard internazionali, tra cui quelli stabiliti dalla Corte Europea dei diritti dell'uomo

evidenzia Mao Valpiana, presidente del Movimento nonviolento italiano, in un'intervista con Riccardo Michelucci su l'Avvenire nella quale ricorda che «l'Ucraina è membro del Consiglio d'Europa ed è candidata ad entrare nell'Ue» [grassetto mio, ndr].

Diventano così ancora più importanti le attività di "trial monitoring"[8], veri e propri controlli sulla trasparenza dei processi aperti contro obiettori e disertori – ma tale attività può essere applicata anche ad altri scenari – e che in Italia sono portati avanti da organizzazioni come il Movimento nonviolento o UnPontePer. «La pubblicità dei processi è infatti componente essenziale del giusto processo», dichiara ad Azione Nonviolenta Nicola Canestrini, avvocato che per conto di tali organizzazioni ha seguito proprio il processo Alekseinko. "Giusto processo" che, continua Canestrini, costituisce «principio fondamentale in democrazia e in uno stato di diritto»: l'Ucraina, nel 2022 come nel 2024, sappiamo non essere né l'una né l'altra.

La versione di Braun

Marzo 2023: Mikhailo Podolyak, giornalista e consigliere di Volodymyr Zelensky, twitta che «ogni tentativo di congelare il conflitto lo farebbe protrarre». L'attuale fase di stallo tra le trincee lo conferma. È una dichiarazione ufficiale, di poche battute, che rende palese una linea politica ben definita dal Potere atlantico, che usa la guerra in Ucraina come casus belli per rafforzare la spinta militarista e repressiva interna alla urFortezza - tradotto: per rendere più alti e facili i profitti del complesso militar-industriale eurostatunitense – tenere l'Europa legata a Washington in posizione di subordinazione, e muovere qualche altra pedina sullo scacchiere del futuro conflitto tra Stati Uniti e Cina.[Debate: Will Finland's Addition to NATO Make Direct Conflict with Russia More Likely?].

In questo contesto, intervistato da Amy Goodman di Democracy Now! (4 aprile 2023), l'ex direttore dell'International Peace Bureau Reiner Braun pone – inascoltato – nel dibattito internazionale 2 interessanti spunti di riflessione:

  1. la Nato non può più essere considerata un'alleanza militare difensiva, ammettendo che lo sia mai stata davvero. Lo dimostrano gli interventi in Libia, Afghanistan, Jugoslavia e le decisioni prese sull'Ucraina. Anzi, i primi movimenti dello scontro con Pechino, aggiunti agli accordi stipulati con alcuni Paesi del Pacifico (Giappone, Corea del Sud, Malesia, Filippine) mostrano come non si possa nemmeno più parlare di alleanza "atlantica", offensiva o difensiva che sia. Qualunque cosa sia oggi, sostiene Braun, la Nato «sta persino creando molti problemi per la pace e la sicurezza»
  2. questa situazione non si vede dall'interno, perché il mondo atlantico è «profondamente coinvolto nella guerra», attraverso l'addestramento dei soldati ucraini, con l'invio indefesso delle armi a Kiev – che poi finiscono in Africa, ndr – e partecipando ad azioni militari dirette, ma poco notiziate, come l'attività di spionaggio

Per questo, continua Braun

l'unica possibilità è avere una coalizione internazionale di pace proveniente dal Sud Globale che funga da moderatore o mediatore per un processo di pace

Costruire la guerra alla periferia del mondo (ricco)

In questi due anni, proposte di pace/non belligeranza dal Sud Globale ne sono arrivate alcune e ne parleremo in uno dei prossimi articoli di questo approfondimento. È un dato di realtà inoppugnabile, che più volte abbiamo ribadito, che solo l'intervento britannico-atlantico impone a Russia e Ucraina la "versione lunga" della guerra. Di fatto è quanto chiede lo stesso Zelensky nel 2023, offrendo alla Nato il suo Paese come deposito e teatro di uso e sperimentazione delle armi.

Dopo il tradimento del patto Bush-Gorbačëv, dal 2014 la Nato muove una escalation nei Paesi dell'Europa dell’est – e che muove i primi passi già con l'amministrazione Clinton nel 1997 - che trasforma l'area in una piattaforma per il lancio della guerra contro Mosca oggi e contro Pechino domani. Mentre Obama invia Biden a Kiev guidato da un sonoro e telefonico «Fuck EU!», nei Paesi baltici così come in Polonia, Romania, Bulgaria e Ungheria arrivano nuove installazioni militari, nuove e più avanzate tecnologie belliche e nuove strategie militari. Creando così un "piccolo" laboratorio per le future guerre dei droni e dei sistemi letali autonomi, oggi denunciati solo dall'informazione pacifista ed antimilitarista.

S'ode uno scricchiolar d'imperi globali

L'Afghanistan con l'oppio e le case farmaceutiche; l'Iraq con il petrolio e le (inesistenti) armi di distruzione di massa; l'Ucraina con il complesso militar-industriale e le terre rare: le guerre, ancor più se "umanitarie", non sono mosse da fini democratici né dalla volontà di rendere il mondo quel posto migliore su cui, però, nessuno specifica per chi.

Su World Beyond War[9], David Swanson riporta un dato che dovrebbe essere centrale in ogni dibattito su guerra ed equilibri internazionali: per raggiungere l'1% della spesa militare degli Stati Uniti è necessario sommare l'investimento in armi dei 29 Paesi che seguono Washington in questa particolare classifica, di cui 26 sono clienti dell'industria delle armi statunitense e molti di questi, scrive ancora Swanson, «ricevono gratuitamente armi e/o addestramento dagli Stati Uniti e/o hanno basi americane».[New York Times Is Now Telling Bigger Lies Than Iraq WMDs and More Effectively].

In termini di spesa militare pro capite, i nemici di Washington – il nuovo "Asse del male" composto da Russia, Cina e Iran – non arrivano insieme ad eguagliare l'investimento in armi statunitense, che (anche) per mantenere aperto il flusso costante di armi verso Kiev e Tel Aviv non si pone il minimo problema di portare l'economia nazionale in default e impoverire la popolazione statunitense. Lo stesso "gioco antidemocratico" mosso dalla Bruxelles di Ursula von der Leyen e dei blocchi di Potere che rappresenta.

Fermare lo Stato che fa la guerra, non solo la Guerra?

Le pratiche più o meno antimilitariste, pacifiste e nonviolente riportate da Daza Sierra nel rapporto "Ukrainian Nonviolent Civil Resistance in the face of War" danno consistenza alla teoria anarchica, per la quale una vera democrazia sostanziale e non solo "cosmetica" non possa prescindere dalla auto-organizzazione libera e diretta delle persone. Una riscrittura dei legami sociali che, per dirla in maniera molto sintetica, sostituisce l'orizzontalità alla organizzazione verticale e gerarchica che chiamiamo "Stato", oggi guidato in Europa e Stati Uniti da leaderini che non rispettano quella volontà popolare su cui vengono eletti, almeno nella teoria. È sempre più difficile capire perché ci continuiamo a farci andare bene giocare il ruolo di silenziosi democratici dittatoriati.

Proprio il monitoraggio di Daza Sierra rende evidente uno scenario che, forse, è l'unico dato realmente democratizzante per questa storia: se le popolazioni avessero potuto davvero decidere del loro futuro – e non delegarlo a presidenti e parlamenti – non ci sarebbe stata alcuna guerra russo-ucraina. Forse.


Questo articolo fa parte della serie "Achtung Disertoren!", l'approfondimento di Inchiostro Politico su antimilitarismo, guerra e diserzione sullo sfondo della guerra in Ucraina.


Note:

  1. Sheldon Rampton e John Stauber, "Weapon of Mass Deception. The Uses of Propaganda in Bush's War on Iraq", New York, TarcherPerigee, 2003. In italiano: "Vendere la guerra. La propaganda come arma d'inganno di massa", traduzione di Eva Milan, Bologna, Nuovi Mondi Media, 2004, p.169
  2. Norman Schwarzkopf è stato un generale statunitense, chiamato alla fine degli anni '80 a definire un piano per la difesa dei pozzi petroliferi nel Golfo Persico in caso di invasione dell'Iraq. Piani che proprio Schwarzkopf aiuterà a mettere in pratica nella prima guerra del Golfo Persico (operazione Desert Storm, 1990-1991)
  3. Le 7 aree sono: "ostacoli agli obiettivi militari russi"; "minare i pilastri del potere del Cremlino"; "protezione dei locali"; "resilienza della comunità"; "rafforzare la governance locale"; "coesione sociale nazionale e regionale"; "responsabilità" (pp.4-5) in Felip Daza Sierra, "Ukrainian Nonviolent Civil Resistance in the face of War" (in italiano: "La resistenza civile nonviolenta ucraina di fronte alla guerra") realizzato nell'ambito di un progetto condotto dall'International Catalan Institute for Peace (ICIP) e dall'International Institute for Nonviolent Action (Novact). Lo studio si riferisce ad un periodo limitato (febbraio-giugno 2022) e si concentra soprattutto nella regione meridionale dell'Ucraina, in un'area compresa tra Kherson e Zaporizhia
  4. Daza Sierra, op.cit., p.44
  5. Ivi, p.55
  6. Ivi, p.21
  7. Ivi, p.18
  8. In ambito giudiziario, con il termine "trial monitoring" si intende un controllo sullo svolgimento dei processi in modo da assicurarne la trasparenza, migliorare il rispetto al giusto processo per l'imputato e promuovere l'eguaglianza nel rispetto della legge
  9. Fondato nel 2014 da David Hartsough e David Swanson, l'obiettivo di World Beyond War è «creare un movimento globale per abolire l'istituzione della guerra stessa, non solo la "guerra del giorno"» e «trovare un modo per passare a un sistema di sicurezza globale che sia supportato dal diritto internazionale, dalla diplomazia, dalla collaborazione e dai diritti umani»

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