Con i Paesi democratici diventati guerrafondai, lontano dagli esportatori di democrazia si provano nuove strade per portare Pace in Ucraina. Con il rischio di tornare esattamente al punto di partenza
Uno scontro tra «i deliri di alcuni e i subdoli calcoli economici di altri»: non avrebbero potuto trovare definizione più precisa i Subcomandanti insurgenti Moisés e Galeano[1] dell'Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale del Chiapas, che così riassume l'essenza della guerra in Ucraina in una lettera scritta il 2 marzo 2022 da Sudest messicano, da oltre 20 anni teatro dei movimenti, delle idee e delle politiche dell'Ezln: «da zapatisti quali siamo», continua la lettera, «non sosteniamo l'uno o l'altro stato, ma piuttosto coloro che lottano per la vita contro il sistema» [grassetti nelle citazioni miei,ndr].
Lettera (zapatista) da un futuro passato
«Durante l'invasione in Iraq», scrivono i Subcomandanti, «nessuno sano di mente[…]pensava che opporsi all'invasione fosse mettersi dalla parte di Saddam Hussein». Per la guerra in Ucraina, continua la lettera, «Non vi era alcuna valutazione umanistica» da parte dei governi, né a Mosca né tra i Paesi atlantici, interessati invece ad assicurare i più alti profitti al complesso militar-industriale e alle migliori condizioni per accaparrarsi terre rare e risorse naturali ucraine.
I grandi capitali e i loro governi "occidentali" sono rimasti in poltrona a contemplare – e persino incoraggiare – la situazione che si stava deteriorando. Poi, una volta iniziata l'invasione, hanno aspettato di vedere se l'Ucraina avrebbe resistito, calcolando ciò che si poteva trattare da un risultato all'altro. Poiché l'Ucraina resiste, si cominciano a emettere fatture per "aiuti" che verranno riscosse, in seguito
Per Moisés e Galeano, inoltre, l'escalation e le condanne contro Putin e il suo regime – antidemocratico anche quando lo si considerava un "amico" del Potere atlantico – si trasformeranno in «plauso» quando quelle stesse politiche criminali giustificheranno e permetteranno «l'invasione di altri popoli i cui processi non sono di gradimento del grande capitale» che, sotto lo scudo "umanitarista", si arrogheranno il diritto di «salvarli dalla "tirannia neonazista" o per porre fine ai "narco-stati" vicini». La questione di Taiwan in funzione anticinese, in tal senso, pare un esempio interessante.
Chi ha paura della nonviolenza in Ucraina?
Putin, Zelensky e «gli altri leader del mondo» dovrebbero «lavorare sul disarmo, sullo scioglimento dell'esercito, sulla rottamazione di tutte le armi nucleari», sostiene in un'intervista rilasciata a Presa Diretta[2] Yurii Shelazhenko, segretario – oggi in arresto – del Movimento pacifista ucraino, che ai microfoni della trasmissione di Rai3 pone l'accento sulla necessità di «resistere all'idea che tutta la vita è guerra e lo scopo della vita è la vittoria militare».
I 235 atti «imbarazzanti per il Potere» riportati nello studio-mappatura dal professor Felip Daza Sierra, sono azioni di piccole o piccolissime dimensioni, invisibili ai libri di Storia, riferite inoltre ad un periodo e ad uno spazio limitato, dunque non in grado da sole di spostare gli equilibri tra popolazione invasa ed esercito invasore, né di incidere realmente sullo scontro tra Guerra e Pace. Raccontate in una cornice più ampia e complessa, la somma di queste azioni dimostra come sotto le bombe nemiche – e nonostante la propaganda militarista di entrambi i fronti – non tutta la popolazione tra Ucraina e Russia ci tenga poi a morire davvero per la patria.
Rubare l'esercito dalle mani della guerra
«È fondamentale rubare l'esercito dalle mani di Lukashenko» sostiene Olga Karach – attivista, giornalista e direttrice dell'organizzazione bielorussa Our House – durante una conferenza tenutasi a Ferrara il 23 febbraio 2023, organizzata da Europe for Peace e dal Movimento nonviolento italiano e a cui partecipano anche Kateryna Lanko del Movimento pacifista ucraino e Darya Berg del movimento russo "Go by the forest". Volendo allargare il discorso, è fondamentale «rubare l'esercito» dalle mani della Guerra e del complesso militar-industriale, in Ucraina, in Russia e in qualunque altro posto nel mondo.
Per farlo non basta fare opposizione alla guerra come mero atto militare, ma è imprescindibile fronteggiarne, «per tutto il tempo necessario» la cultura militarista che penetra nel sentimento popolare attraverso il cinema, l'informazione e – in modo sempre più pericoloso – l'educazione scolastica.
È un paradosso interessante: in tempo di pace sei considerato un buon cittadino se non uccidi, invece in tempo di guerra chi si rifiuta di combattere è considerato traditore della patria e condannato alla prigione, sintomo dl mancato rispetto dei diritti umani nel mio paese. Sento molto forte la difficoltà degli uomini tra i 18 e i 60 anni che non possono varcare il confine per non uccidere e per salvarsi la vita
racconta Kateryna Lanko, che incontrandosi con le altre attiviste dichiara di aver subito «trovato dei punti in comune, una visione comune nonostante le differenze». «Pensiamo», continua Lanko facendosi portavoce di tutte le istanze contrarie alla guerra nei tre Paesi, «che questa possibilità di incontrarci, parlarci, conoscerci, sia essa stessa una via per la pace».
"No means no"
Karach racconta l'esperienza della campagna "No means no" (in italiano "No vuol dire no"), creata in Bielorussia nel marzo 2022 come risposta all'invio di 43.000 cartoline-precetto inviate ai cittadini dal regime di Aljaksandr Lukashenko. Una chiamata alle armi che invece ottiene:
- 6.000 risposte positive
- 20.000 obiettori di coscienza che, per questa scelta, sono costretti a fuggire – soprattutto verso Georgia e Turchia – da un Paese guidato dal cosiddetto "ultimo dittatore d’Europa" ma con cui i Paesi atlantici fanno affari fin dal 1994, anno del suo insediamento alla guida del Paese
Numeri che aiutano la repressione militarista di Minsk, che pochi giorni prima dell'invasione russa dell'Ucraina emana una legge con cui equipara diserzione ed obiezione di coscienza militare al tradimento della patria: un "reato" punito con la pena di morte in una concezione che, seppur con sfumature diverse, trova concordi anche Russia, Ucraina e Stati Uniti.
La profezia del guerrafondaio
Conoscendo il curriculum del personaggio, avrebbe dovuto fare molto riflettere la posizione che Henry Kissinger – Segretario di Stato statunitense, non certo pacifista o antimilitarista, dal 1973 al 1977 per le amministrazioni Nixon e Ford – riporta in un articolo pubblicato dal Washington Post il 5 marzo 2014: «troppo spesso la questione ucraina viene presentata come una resa dei conti: sia che l'Ucraina si unisca all'Est o all'Ovest» scrive, suggerendo inoltre che «se l'Ucraina vuole sopravvivere e prosperare, non deve essere l'avamposto di nessuna delle due parti contro l'altra, ma funzionare come ponte tra di loro».[How the Ukraine crisis ends].
Un ponte che potrebbe aiutare in modo determinante non solo la presente e futura stabilità dell'area europea ma anche – per dirla con Zhao Long, analista dello Shangai Institute of International Studies – «una agenda di pace» che «diventerà la direzione prioritaria per la partecipazione dei Paesi alla governance globale».
Smells like business spirit: quando tradimmo lo "Spirito di Helsinki"
Creare ponti mentre si innalzano muri: è quanto si auspica per l'Ucraina futura e accade nella Finlandia di oggi, che dopo l'ingresso nella "Partnership for Peace" (1997)[3] ad aprile 2023 entra ufficialmente nella Nato per decisione popolare: ad oggi è il tratto più lungo del "nuovo" confine diretto tra area atlantica e Russia. Così, con un tratto di penna su una cartina, governi formalmente democratici non cancellano solo il "patto Bush-Gorbačëv" ma anche il Trattato di amicizia che regola i rapporti tra Helsinki e Mosca fin dal 1948.
L'invasione russa del 24 febbraio 2022 smantella un approccio politico e culturale nato con gli Accordi di Helsinki del 1975 nell'ambito della distensione Washington-Mosca che porta alla formale conclusione della Guerra fredda, ma anche in questo caso difendere la democrazia è un obiettivo marginale: la Finlandia, che già oggi destina il 2% del Pil alla spesa militare, integra l'industria bellica nazionale nel più ampio e potente complesso militar-industriale atlantico; il Potere atlantico guadagna un nuovo punto di pressione su Mosca, con la possibilità di colpire obiettivi strategici come la riserva nucleare di Severomorsk, a 160 km dal confine finlandese, dove sono stanziati sottomarini e navi nucleari della flotta russa. Dall'altro lato del confine, Mosca rafforza la propria presenza militare, sentendosi minacciata – non a torto – e gettando le basi per una futura crisi internazionale.
La scelta del governo finlandese guidato da Sanna Marin, ennesimo momentaneo mito della sinistra europea, cancella quello "Spirito di Helsinki" che ha regolato per decenni i rapporti internazionali e transfrontalieri del Paese. Uno "Spirito" di cui, ammonisce in un discorso tenuto all'Onu nel 2021 dall'ex Presidente finlandese Sauli Niinistö, «l'intero mondo e le Nazioni Unite[…]hanno urgente bisogno».[President Niinistö: Spirit of Heelsinki is needed].
La conversione militarista del Potere finlandese chiude le porte alla partecipazione del Paese al "Club della Pace" che Inácio Lula da Silva – tornato alla presidenza del Brasile l'1 gennaio 2023 per aver vinto le elezioni dopo l'assoluzione nel processo "Lava Jato" – prova ad imbastire per sostenere quei negoziati di Pace che nel 2022 sembrano non interessare le parti belligeranti. Quello che sappiamo oggi, oltre 2 anni dopo quel 20 febbraio, è che la realtà dei fatti era diversa.
Se quella in Ucraina è una guerra colonialista “domestica”
«L'Europa deve andare a scuola dal resto del mondo», proclama nel 2017 in un'intervista a Giuliano Battiston per Reset il sociologo "altermondialista" Boaventura De Sousa Santos, per la cui teoria la guerra in Ucraina è «una manifestazione coloniale della presunta sub-umanità di alcuni europei» oltre che la manifestazione della sconfitta del costituzionalismo nazionale sotto i colpi di un «costituzionalismo globale, fatto di capitale finanziario, multinazionali, accordi di libero commercio, etc[…]intrinsecamente antidemocratico, mosso dall'accumulazione, dall'avidità, dal profitto». In questo senso, la «tensione tra democrazia e capitalismo», che è poi l'essenza profonda della guerra per le risorse, in Donbass come in qualunque altra parte del mondo, «sta scomparendo perché in sostanza scompare la democrazia, svuotata dei suoi contenuti».
Uno svuotamento – lo vedremo in modo approfondito in un prossimo approfondimento su Inchiostro Politico, ndr – con cui il capitale finanziario e il neoliberismo mirano «a distruggere la socialdemocrazie» non «singolarmente, perché in Europa vigono le Costituzioni, i partiti progressisti e socialisti, le organizzazioni sindacali» ma «dall'alto al basso, dall'Unione europea ai singoli Paesi»: il progetto di militarizzazione dell’Europa, ciò che qui chiamiamo "urFortezza", è esattamente questo.
Applicando la teoria di De Sousa Santos, la guerra in Ucraina sarebbe non solo un capitolo di questa distruzione – di una democrazia "sotto assedio", per usare la definizione del professor Emiliano Brancaccio[4] – ma anche di una forma di colonialismo "domestico" che spezza, demolendolo, il progetto europeo lungo la frattura centro-periferia. Lo abbiamo ribadito più volte: la guerra in Ucraina sarebbe durata pochi giorni, forse poche settimane, se il Potere atlantico non l'avesse impedito attraverso l'allora primo ministro inglese Boris Johnson: cos'è questo intervento se non un atto colonialista di un Potere-centro nei confronti di un Paese-periferia, tradotto nell'ordine di un Paese-guida negli equilibri internazionali su un Paese che in quegli equilibri, fatto salvo il decennio di crisi e guerra, non ha rilevanza?
Al confine non passa nemmeno la Pace
A 2 anni dall'inizio della guerra in Ucraina l'unica certezza è che la soluzione arriverà solo attraverso la via diplomatica, ovvero il passaggio dal cessate il fuoco per raggiungere la Pace: nessuno dei due regimi raggiungerà gli obiettivi enunciati nei primi giorni di scontro armato. Un dettaglio che era facile comprendere già nel febbraio 2022, usando la logica.
La posta in gioco è troppo alta e noi americani ed europei non abbiamo il diritto di rischiare la sopravvivenza del pianeta per una disputa interna all'Europa. In effetti, per l'africano, l'asiatico o il latino-americano medio è del tutto irrilevante che la Crimea sia in Russia o in Ucraina
scrive su Sereno Regis Alfred de Zayas, avvocato, storico ed ex funzionario delle Nazioni Unite oggi in pensione. Eppure è proprio dai territori non atlantici che arrivano le proposte più interessanti per fermare la guerra, arrivando ad un possibile paradosso: i Paesi cosiddetti liberi e democratici promuovono la guerra globale mentre le non democrazie provano a pacificare il mondo.
La pace "africana"? Una questione di interessi incrociati
Quando il 17 giugno 2023 Putin incontra la delegazione di Pace composta da alcuni leader africani e guidata dal Presidente del Sudafrica Matamela Cyryl Ramaphosa[5] – Paese cui si deve anche il processo per genocidio contro Israele aperto dalla Corte Penale Internazionale - afferma di essere disposto al dialogo con Kiev e Washington, a patto che gli «interessi legittimi» russi, a partire dalla zona cuscinetto con la Nato, vengano rispettati tanto quanto gli interessi ucraini.
Composto di 10 punti e presentato da un gruppo di Paesi rimasti neutrali nelle votazioni sulle condanne alla Russia, il "piano africano" viene considerato fin da subito poco credibile. Per i proponenti però ha un duplice obiettivo: mantenere aperti i fondamentali canali commerciali sia con l'area atlantica che con Mosca e diminuire l'impatto sociale ed economico che la guerra ha sul continente, a partire dalla carenza di cibo legata alle difficoltà di importazione di grano, fertilizzanti e oli vegetali prodotti dai due Paesi in guerra.[Ramaphosa present 10-point African plan to end Russia-Ukraine war].
Pace a catena
Fallimentari, inoltre, sono la già citata proposta dell'ex premier israeliano Naftali Bennett e l'iniziativa turca degli Accordi di Istanbul: al regime di Recep Tayyip Erdoğan va comunque dato il merito di aver sbloccato le trattative per i rifornimenti globali di grano nelle prime fasi della guerra. Entrambi i Paesi, pur schierati dal lato Nato – di cui la Turchia fa parte – come molti dei Paesi "dissidenti" non hanno mai chiuso completamente i rapporti con Mosca. Non potrebbero d'altronde permetterselo sotto vari punti di vista, ad iniziare dall'autonomia da Washington e dalla loro autodeterminazione come Stati sovrani.
Più o meno articolate e credibili, tutte le proposte si sono ad oggi infrante su un punto dirimente sia per Kiev che per chi, dall'esterno, mantiene in vita il sistema di Potere ucraino: l'obbligo di raggiungere l'indiscutibile vittoria militare ucraina sul nemico, anche solo per (di)mostrare la soverchiante capacità del complesso militar-industriale atlantico sulla concorrente russa.
Chi partecipa al "Club della Pace" di Lula?
Per lo stesso motivo, neanche il "Club della Pace" promosso da Lula sembra trovare fortuna: l'idea è creare un'alleanza di Paesi neutrali rispetto ai due blocchi di influenza capace di mediare, almeno, il raggiungimento del cessate il fuoco. Il perno di questa proposta è un compromesso - nei fatti l'unica, vera e concreta possibilità di fermare il potere delle armi - che vuole la regione del Donbass tornare sotto il pieno controllo di Kiev, con la Crimea acquisita in via definitiva dalla Russia. Un'ipotesi più volte ventilata nelle discussioni internazionali ma che stride con l'"obbligo di vittoria" sancito per Kiev.
Nonostante i colloqui con la maggior parte dei leader atlantici e con lo stesso Putin, l'iniziativa di Lula viene bocciata dai leaderini Nato, perché il Brasile è tra gli appartenenti e fondatori del Brics, dunque non abbastanza imparziale tra Washington e Mosca. Un'accusa quanto meno bizzarra se mossa da un gruppo di Paesi che ha fortemente spinto la guerra e continua a fornire armi ad una sola delle due parti coinvolte. Almeno seguendo i canali ufficiali e, soprattutto, legali.
Una Pace...dell'altro mondo
Uno degli obiettivi raggiunti, ma assolutamente non voluti, della guerra in Ucraina prima e dello spaziocidio israeliano nei Territori Palestinesi Occupati è aver accreditato nella popolazione eurostatunitense idee ed organizzazioni alternative all'architettura del Potere atlantico: è il caso proprio dei Brics che, lungo la strada che collega idealmente Kiev a Rafah, accolgono altri Paesi[6] oltre ai 5 fondatori (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica) e, soprattutto, si candidano a mediare tra i belligeranti con un peso geopolitico basato su:
- 42% della popolazione mondiale
- 26% delle terre emerse
- 25% del Pil globale
- 20% del commercio mondiale
Una evoluzione inaspettata per un'organizzazione che Goldman Sachs crea, tra il 2009 e il 2010, come operazione di ingegneria finanziaria per spostare parti della ricchezza globale dall'area nord-atlantica al quadrante Asia-Pacifico sfruttando un blocco selezionato di economie emergenti [di questo parleremo in un prossimo articolo]. Ciò che qui interessa è che dall'interno dei Brics – oggi voce ufficiale di quel "contropotere" che chiamiamo Sud Globale – arriva la proposta della Cina di organizzare in Svizzera una Conferenza di Pace che porti alla fine della guerra in Ucraina e alla creazione di un «formato di cooperazione internazionale» in cui, per dirla con Li Hui, rappresentante del governo cinese per l'Eurasia, «tutte le parti siano sullo stesso piano e[…]si possano discutere tutte le questioni proposte in modo equo».
Non crediamo che sia possibile un grande processo di pace guidato dall'Onu come in passato. È interessante sottolineare che questa visione è in linea con la nuova Agenda per la Pace del segretario generale dell'Onu, in cui delinea le nuove dimensioni geopolitiche e sottolinea che, in futuro, le Nazioni Unite dovranno avere un ruolo di supporto nelle discussioni sulle tematiche difficili, in opposizione a un ruolo di guida. Credo che, in tutta probabilità, sarà ciò a cui assisteremo
dichiara al sito Swissinfo.ch Thania Paffenholz, direttrice esecutiva del think tank Inclusive Peace che delinea la "proposta svizzera" raccogliendo quanto seminato in precedenti e meno mediatizzati tentativi di negoziato tenutisi in Danimarca e Arabia Saudita. Oggi, per Paffenholz, l'evoluzione della guerra sembra aver raggiunto la «maturità» per passare dalla trincea al tavolo delle trattative di pace, basata sul raggiungimento dello stallo militare e sulla stanchezza dell'opinione pubblica, oggi in parte distratta da quanto avviene nei Territori Occupati Palestinesi.
Una (non)soluzione coreana per Kiev?
1953: dopo 4 anni un armistizio conclude la guerra che la Corea del Nord – guidata dal regime comunista di Kim Jong-Un – muove contro la confinante Corea del Sud, alleata del Potere atlantico, per questioni legate a scontri sul confine e rivendicazioni territoriali che hanno, come scopo ultimo, la riunificazione delle due Coree sotto Pyongyang. Come per la guerra in Ucraina, anche in quel caso si parla di soluzione nucleare, a pochi anni dalle bombe sganciate su Hiroshima e Nagasaki (6 e 9 agosto 1945). La soluzione "non pacificata" non è definitiva, ma ancora oggi è la politica che, fatte salve alcune brevi crisi, definisce i rapporti tra i due Paesi. Sono passati 71 anni.
Una "soluzione coreana" potrebbe essere valida anche per risolvere la guerra in Ucraina? Per Rand Corporation – uno dei think tank statunitensi più ascoltati al mondo – che ne scrive in un rapporto del 25 gennaio 2023, sarebbe la soluzione migliore, considerati i tanti punti in comune tra le due crisi internazionali. Come si concilierebbe però questa soluzione con il "sacro obbligo" di far vincere la guerra all’Ucraina e – in modo sempre più diretto? – al Potere atlantico? Forse solo ipotizzando un'altra soluzione, con l'Ucraina divisa lungo il confine, politico, tra area "filo-atlantica" e area "filo-russa", divise da una zona "cuscinetto" in modo da placare anche le preoccupazioni del Cremlino.[Avoiding a Long War. U.S. Policy and the Trajectory of the Russia-Ukraine Conflict].
Una soluzione come l'armistizio "alla coreana" rappresenterebbe un indubbio vantaggio per Washington ed il Potere atlantico, che avrebbero così un evidente chiavistello per mantenere "caldi" i rapporti Kiev-Mosca – da rinfocolare di tanto in tanto, con operazioni come l'incendio della Casa dei sindacati di Odessa del 2014 – così da giustificare l'afflusso costante di armi a Kiev. Ma una domanda va posta: se Vladimir Putin è il nemico da isolare, sanzionare e porre in condizione di non nuocere al mondo "democratico", perché nel giugno 2023, oltre 1 anno dopo l'inizio della guerra, Stati Uniti, Russia e Cina svolgono esercitazioni militari congiunte in Indonesia?
Un gioco dell'oca per la Pace "tedesca"?
Il fatto che l'Ucraina stia morendo dissanguata viene apparentemente accettato
denuncia l'ex diplomatico OSCE[7] Michael von der Schulenburg[8], che dalle pagine di Sbilanciamoci.info, mostra al pubblico italiano una articolata proposta di pace inviata al governo tedesco – che per l'art.1, comma 2, della Costituzione[9] avrebbe un obbligo speciale alla tutela della Pace – da Peter Brandt (storico e figlio dell'ex Cancelliere Willy); Hajo Funke (politologo); Harald Kujat (generale in pensione); Horst Teltschik (ex consigliere del Cancelliere Helmut Kohl)
La loro proposta integra e sintetizza tutte le proposte "non occidentali", che si basano sulla necessità di arrivare ad un compromesso tra Washington, Kiev e Mosca, tenendo conto anche degli interessi russi: è esattamente ciò che il regime di Putin chiede, giustamente, in una lettera inviata alla Nato e agli Stati Uniti il 17 dicembre 2021. La proposta si sviluppa su:
- cessate il fuoco «generale e completo[…]senza eccezioni e senza alcuna restrizione»
- creazione di un Alto Commissariato per la Pace e la Sicurezza, chiamato a garantire il rispetto del programma di pacificazione
- creazione di una forza di pace militare per coadiuvare l'attività dell’Alto Commissariato e far rispettare tutte le misure di sicurezza legate al cessate il fuoco
Il contingente militare sarà dispiegato, in territorio ucraino, in un'area larga 50 km dal confine con la Russia, chiamata a ritirare le proprie truppe – per la stessa distanza – dalle zone invase il 24 febbraio 2022. Le truppe ucraine saranno sottoposte alle stesse limitazioni militari e territoriali: si crea così, sotto l'egida Onu, quell'area “cuscinetto” che Putin pone fin dall'inizio come obiettivo per porre fine alla guerra.
Nella proposta "tedesca", inoltre, l'Ucraina dovrà essere una zona neutrale tra i due blocchi – sviluppo sancito modificando la Costituzione, che oggi pone il Paese nell'orbita atlantica – e, dalla data del cessate il fuoco, Kiev non potrà più ricevere armi "atlantiche", non potrà ospitare esercitazioni militari Nato né forze straniere irregolari, consiglieri militari e membri dei servizi segreti, oggi tutti presenti sul territorio. A Kiev, oltre al diritto all'autodifesa, la proposta lascia la possibilità di aderire all'Unione Europea ma non all'Alleanza atlantica, che ha abbandonato già da tempo il progetto. Raggiunto il cessate il fuoco, i negoziati di Pace – basati sugli accordi di Istanbul e resi efficaci solo dalla firma dei due Paesi belligeranti e altri 5 garanti – inizieranno 15 giorni dopo e saranno preludio ad una più ampia Conferenza internazionale necessaria a riscrivere l'architettura della sicurezza europea, basando le future decisioni sulla Carta di Parigi.
Ad altri accordi bilaterali viene lasciata ogni decisione sulle zone contese se, entro 2 anni dall'entrata in vigore del Trattato di Pace, l'Alto Commissariato non sarà in grado di indire referendum popolari nelle aree oggi contese. Si pone così la prima crepa affinché la storia ucraino-russa degli ultimi 10 anni possa ripetersi uguale a se stessa?
Questo articolo fa parte della serie "Achtung Disertoren!", l’approfondimento di Inchiostro Politico su antimilitarismo, guerra e diserzione sullo sfondo della guerra in Ucraina.
Note:
- Dal 2014 "Galeano" è la nuova identità con cui è noto l'ex Subcomandante insurgente Marcos, principale portavoce – e non "capo", come lo hanno sempre indicato i latifondi mediatici atlantici – dell'Ezln e volto, seppur nascosto dietro al simbolico passamontagna nero, dello zapatismo. Nell'ottobre 2023 Galeano cambia ancora identità, diventando "capitán Marcos". La lettera è riportata in versione integrale, in "Qui siamo in guerra. Anarchici e antifascismo e femminismo in Ucraina, Russia e Bielorussia. Scritti e testimonianze", Urbino, Edizioni Malamente, 2022, pp. 19-22
- Presa Diretta, puntata "Costruttori di pace", andata in onda in prima edizione su Rai3 il 20 febbraio 2023. La puntata integrale della trasmissione la trovi qui-link Raiplay
- La "Partnership for Peace" ("Partenariato per la pace", in italiano) è un accordo di cooperazione militare creato nel 1994 tra la Nato, i Paesi dell'Unione Europea – all'interno del Consiglio di cooperazione nord-atlantica – ed è aperto ai Paesi che facevano parte del Patto di Varsavia. Nell'accordo rientrano ad esempio la standardizzazione degli armamenti e l'aiuto alla ristrutturazione dell'industria delle armi proprio nei Paesi dell'Europa dell'est
- Emiliano Brancaccio, "Democrazia sotto assedio. La politica economica del nuovo capitalismo oligarchico. 50 brevi lezioni", Milano, Piemme edizioni, 2022
- Oltre a Ramaphosa del Sud Africa, della delegazione fanno parte Macky Sall (ex Presidente del Senegal), Hakainde Hichilema (Presidente dello Zambia), Azali Assoumani (Presidente delle Comore), Mustafa Madbuli – primo ministro dell'Egitto – e delegati di diverso rango dei governi del Congo-Brazzaville e Uganda oltre che dell'Unione Africana e della Fondazione Brazzaville
- Dal 1 gennaio 2024 fanno parte del Brics, rinominato per questo Brics+, anche Argentina, Egitto, Etiopia, Iran, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti. Altri Paesi hanno già fatto richiesta di adesione
- Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa, è una organizzazione intergovernativa che dal 1995 si occupa di sicurezza regionale nell'ambito della promozione della pace, del dialogo politico, della giustizia e della cooperazione nel continente
- Michael von der Schulenburg è stato anche assistente del Segretario Generale delle Nazioni Unite (2005-2012) e, in tale ruolo, è stato il più alto rappresentante ONU in Iraq e Sierra Leone: nel Paese africano ha guidato la prima missione di "Integrated Peace Building" al mondo
- "Il popolo tedesco riconosce gli inviolabili e inalienabili diritti dell'uomo come fondamento di ogni comunità umana, della pace e della giustizia nel mondo", recita il testo dell'articolo
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