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(Vasco Brondi - "Cosa racconteremo di questi cazzo di anni zero")

domenica 29 settembre 2024

Se la patria chiama, lasciatela chiamare [Achtung Disertoren! #10]


La Guerra ruba sempre più fondi alla spesa civile e futuro alle popolazioni, che però si organizzano per toglierle denaro, soldati e favore ideologico. Perché per fermare la Guerra, basta non farla.


Cartolina precetto accartocciata - Se la patria chiama, lasciatela chiamare

«Il soldaten più intelligente ha disertato ieri notte»: così il soldaten Otto risponde al Capitanen in una vignetta di Sturmtruppen[1], fumetto "comico" idato nel 1968 da Franco "Bonvi" Bonvicini. Pochi anni dopo, tra il 1971 ed il 1974, un altro giornale militante - idato dai Gruppi Nonviolenti Bolognesi e gestito, in un secondo momento, dal Gruppo Antimilitarista Padovano - continua una storica tradizione di informazione antimilitarista che continua ancora oggi, non solo in Italia, e in cui si inserisce anche Inchiostro Politico. Il nome di quel giornale? Se la patria chiama ditele che ripassi[2].

Se anche i militari bruciano le divise

In oltre 2 anni di occupazione militare e territoriale dell'Ucraina da parte russa diventa ancora più evidente la frattura tra la classe politico-lobbistica e le popolazioni, che si acutizza ulteriormente con gli schieramenti sullo spaziocidio[3] – o apartheid, nella definizione ufficiale delle Nazioni Unite – commesso da Israele nei Territori Palestinesi Occupati.

Nel mezzo, grazie anche ad una copertura indecente dei due conflitti da parte dei latifondi mediatici, alle voci contrarie alla guerra per convinzione morale, politica o religiosa si aggiungono voci provenienti dallo stesso mondo militare, con abbandoni e rifiuti registrati in entrambi gli eserciti belligeranti, tanto da costringere più volte sia Vladimir Putin che Volodymyr Zelensky a rendere più laschi i criteri per la coscrizione obbligatoria dei propri cittadini.

I quasi 10.000 processi aperti contro disertori ed obiettori di coscienza dai tribunali ucraini nell'ultimo decennio, sono indicativi di tale frattura, dovuta – secondo la testimonianza di un militare anonimo riportata dal sito PeaceLink – non ad un «calo della motivazione a combattere contro la Russia» da parte dei militari ucraini, quanto al fatto che «i mobilitati non sono pronti a dare la vita per qualsiasi obiettivo e ordine» come dimostrano i 6,5 milioni di profughi scappati dal Paese, cui vanno aggiunti altri 3,7 milioni di persone sfollate rimaste entro i confini nazionali[4].

A ben guardare, dunque, questa idea di morire per la "patria" nonostante la retorica dei governi – senza distinzione di ideologia né coordinate geografiche – tra la popolazione non sembra essere un progetto di vita poi così degno ed intelligente. Perché nessuno morirebbe di propria sponte per difendere gli interessi economici di qualcun altro, giusto?

Inceppare i meccanismi che generano la guerra

Disertare la Guerra, per noi che non siamo chiamati a farla né a conviverci tutti i giorni, non significa solo partecipare alla manifestazione in piazza o al rifiuto di premere il grilletto. Praticare antimilitarismo è un'azione ad ampio spettro, un progetto culturale volto a demolire «tutto ciò che tiene in piedi gli eserciti e che prepara le guerre»: in un contesto che pone al centro il complesso militar-industriale, l'esercito e le azioni militari propriamente dette non sono più il vertice né il fulcro del Potere militare, che oggi lega in modo sempre più stretto pratiche lobbistiche – anche di settori non militari, come nel rapporto tra militarismo e petrolio e la diffusione della cultura militarista nella società attraverso scuole, giornali e cinema. Scriveva già nel 1989 Alexander Langer[5]:

Un movimento per la Pace che fosse fatto principalmente ed esclusivamente di marce e petizioni per chiedere disarmo o condanna di certe aggressioni militari non avrebbe grande credibilità, soprattutto se si caratterizzasse davvero per partigianeria unilaterale (denunciare "certi" armamenti e "certe" guerre e tacere su altre) o si limitasse ad innovazioni genetiche di pace cui nessuno potrebbe dirsi contrario, ma dalle quali non deriva nessun effetto concreto

Se, per dirla con il Presidente degli Stati Uniti Joe Biden, che così si pronuncia a proposito dell'appoggio antirusso all'Ucraina, la Guerra diventa un «sacro obbligo», altrettanto obbligatorio diventa sul fronte opposto sviluppare «anticorpi antimilitaristi» con cui inceppare gli ingranaggi di ogni atto, progetto o decisione bellica, a partire da quel peacewashing che porta in piazza la stessa classe politica e giornalistica che ogni giorno lavora per assicurare profitti e potere al complesso militar-industriale in cambio di protezione, finanziamenti – più o meno leciti – e voti.

Esercitare cultura antimilitarista deve dunque avere come primo e primario obiettivo quello di togliere risorse, soprattutto culturali ed economiche, al complesso militar-industriale globale, organizzando un'agenda politica e controinformativa di «prevenzione della guerra» che, partendo dal denunciare le alleanze politico-economiche su forniture e spese militari, si occupi anche delle basi militari – anche quelle nucleari come ad Aviano e Ghedi – e delle servitù militari che in luoghi come la Sardegna sono causa di «contaminazione bellica» che rende marci ambiente, salute, economia e politica.

Denunciare le armi come sistema di Potere intersezionale significa anche occuparsi delle lotte operaie nell'Europa militarizzata dell'Unione che va facendosi urFortezza, un progetto che trova nuova linfa nella riconferma della Commissione von der Leyen, ma implica anche tenere obiettivi e microfoni puntati su questioni come

  • difesa attiva dell’ambiente e sul denunciare l'impatto ambientale del Potere militare (ne parleremo in un articolo specifico)
  • proteste popolari che modificano la capacità repressiva interna dei governi
  • raccontare i progetti militaristi delle Università e dei centri di ricerca, soprattutto il loro contributo nel migliorare l'efficacia omicida di armi sempre più tecnologiche
  • bloccare i trasporti di armi come fanno i lavoratori portuali da Genova a Livorno, da Bilbao ad Amburgo e fino alla California
  • proteggere obiettori, disertori e whistleblowers, allo stesso modo in cui si prova a proteggere oggi gli attivisti per il clima: Chelsea Manning, Edward Snowden, Daniel Hale, Heather Linebaugh, tutti ex dipendenti del mondo militare statunitense (di)mostrano quanto potente può essere la voce degli insider che decidono di sabotare il potere militar-industriale

Una proposta anarchica per l'antimilitarismo

Un buon programma, ancor più specifico e concreto, è sviluppato dall'Assemblea antimilitarista creata nell'ottobre 2021 dalla Federazione Anarchica Italiana per connettere e pratiche antimilitariste "radicali" attive sul territorio italiano. Sviluppata in 8 punti, la proposta prevede (tra parentesi alcuni miei spunti per approfondire,ndr):

  1. lotta per il completo ritiro delle missioni militari all’estero (molte delle quali nate per difendere o acquisire risorse energetiche in altri Paesi)
  2. boicottaggio attivo dell'industria bellica per arrivare alla completa riconversione ad uso civile
  3. mobilitazione contro tutte le forme di militarizzazione dei territori: dalle basi militari alla (inutile) presenza dei militari nelle strade delle nostre città, dai poligoni fino alla blindatura dei confini e dei mari contro chi migra nel nostro Paese
  4. denuncia delle spese militari quali risorse di tutti sottratte ai servizi sociali come sanità, scuola, trasporti, etc.
  5. lotta contro gli interessi delle multinazionali italiane, in primis l'Eni, che di fatto dettano al governo l'agenda delle missioni militari all’estero (con forme di vero e proprio colonialismo climatico ed energetico)
  6. lotta contro le devastazioni ambientali causate dagli eserciti e dalle multinazionali da essi protette e per creare intersezioni fra i movimenti ecologisti dal basso e l'antimilitarismo
  7. contrasto alla crescente propaganda militarista nelle scuole e ai sempre più forti legami tra l'industria militare e l'Università
  8. denuncia dell'intima correlazione fra la violenza sessista e patriarcale e la logica militarista

Ad un programma politico così specifico e ben strutturato – di fatto pronto per qualunque partito di sinistra volesse prenderlo in considerazione – e in cui è pienamente visibile la stretta correlazione tra antimilitarismo, pacifismo e anarchia, nello specifico del caso italiano si possono aggiungere altre azioni necessarie in un Paese che sta sempre più rubando denaro pubblico dalla spesa civile per destinarlo alla spesa militare:

La Guerra che "alleva" il mondo

Per fermare il "Padrone della Guerra" basta non fare la Guerra, «per cessare il fuoco bisogna non sparare», come recita la Dichiarazione di obiezione di coscienza pubblicata a fine marzo 2022 da Azione Nonviolenta, giornale del Movimento nonviolento italiano e che puoi firmare e diffondere da questo link

https://www.azionenonviolenta.it/obiezione-alla-guerra-2

Disertare, fare obiezione di coscienza, rifiutarsi in vario modo di aiutare la produzione della Guerra – come fa ad esempio André Shepherd che in Iraq, nel 2004, si rifiuta di riparare gli elicotteri dell'esercito statunitense per non partecipare all'omicidio di persone innocenti – in un contesto in cui l'atto militare non è più al centro del "contenitore" che chiamiamo Guerra, significa non solo non premere materialmente alcun grilletto né joystick, ma soprattutto significa lottare contro una «logica di comando sul mondo» di cui proprio la Guerra è «levatrice», come scrive Sandro Mezzadra su Euronomade.info.

Una logica che, in maniera intersezionale, lega cultura bellica e capitalismo, violenza contro le donne e distruzione dell'ambiente. Per tutto questo, oggi, qualunque ne siano le coordinate geografiche, le lingue parlate, le motivazioni ideologiche, spezzare il fucile[6] diventa una necessità improcrastinabile, non solo per chi lotta contro le armi e gli eserciti.

Quanto costa la pace? Meno di un tank

Invece accettiamo che in un solo anno, il 2023, siano stati bruciati sull'altare della spesa militare mondiale 2.243 miliardi di dollari, nonostante un rendiconto di aprile 2023 della 5° Carovana "Stop the War Now" indichi che con "solo" 1 milione di euro si potrebbero fornire 500 tonnellate di aiuti umanitari di vario genere a popolazioni in difficoltà, che sia per guerre, disastri ambientali, crisi sanitarie, sociali o politiche. Con una metà del mondo in fiamme e l'altra che cade a pezzi tra cambiamento climatico e disastri idrogeologici non dovrebbe neanche essere necessario chiedersi quali spese dovrebbero essere tagliate da governi che si dicono attenti alle necessità del proprio popolo.

Portare 500 tonnellate di aiuti costa 1/5 di un tank

è la sintesi più titolabile dell'azione della Carovana. Ancora meno costa installare 10 dissalatori (25.000€ ciascuno) che permetterebbero ogni giorno a 5.000 persone di avere accesso all'acqua potabile – parliamo della "siccità" in Sicilia, ad esempio? - oppure con 190.000€ si potrebbe acquistare un generatore elettrico così da assicurare il funzionamento ad ospedali senza elettricità ma ancora operativi – come quelli di Odessa o Gaza, prima che fossero raccontati come covi terroristici – che avrebbero sicuramente utilità maggiore rispetto ad investire la stessa somma in armi e armamenti. Altri calcoli, realizzati dal movimento internazionale nonviolento World Beyond War, indicano che

  • con 30 miliardi di dollari l'anno si potrebbe eliminare la fame nel mondo
  • con 11 miliardi di dollari l'anno si potrebbe garantire acqua pulita ad ogni persona nel mondo

In sintesi, con meno di 50 miliardi di dollari disinvestiti ogni anno in armi potremmo eliminare due dei più importanti motivi di instabilità, insicurezza e conflitto nel mondo insieme allo sfruttamento delle risorse naturali. Stando alle cifre di World Beyond War, con un veloce calcolo, destinando alla spesa civile i 2.243 miliardi investiti in armi dai leaderini del mondo nel solo 2022 avremmo potuto assicurare quasi 75 anni senza fame per tutto il mondo e oltre 203 anni di acqua pulita a tutte le persone che abitano il pianeta. Scrive ancora WBW:

Ovviamente noi nella parte ricca del mondo non condividiamo il denaro, neanche tra noi. Le persone che hanno bisogno di aiuto sono tanto vicine quanto lontane. A tutti potrebbe essere garantito un reddito di base per una frazione della spesa militare

Allevare la Guerra, ep.1: introduzione alla pirateria somala

Per il Potere militar-industriale questo sarebbe il più pericoloso programma politico "d’opposizione", la minaccia primaria al suo intero sistema: eliminando fame e siccità verrebbero meno due delle principali motivazioni di conflitto e migrazione e, per conseguenza logica, la necessità per le popolazioni locali di usare le armi per difendere la propria vita, le proprie risorse o il proprio territorio.

Un esempio perfetto in tal senso è la pirateria in Somalia, nata come atto di ribellione di semplici pescatori costretti a non uscire in mare per non ritrovarsi le reti piene di quel pesce che Europa e Stati Uniti avvelenano inabissando rifiuti tossici nel mar Mediterraneo e lungo le coste del Paese attraverso le cosiddette "navi a perdere". Un crimine in cui l'Italia è in prima fila, una scia di veleni e sangue che, non a caso, passa alle cronache come "malacooperazione italiana" e che lega a doppio filo gli omicidi di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin all'assassinio di Mauro Rostagno e al "mistero dei misteri italiani": la misteriosa operazione Gladio. Ma questa, come direbbe Carlo Lucarelli, è un'altra storia...di cui Inchiostro Politico si occuperà, con un ampio approfondimento, in futuro.

Per approfondire sulla pirateria somala:

Tu lo sai cos'è, davvero, un terrorista?

Allo stesso modo, "rubare" alla Guerra che ruba al popolo il denaro necessario a rendere diritti uguali per tutti l'accesso ad istruzione e sanità di alta qualità priverebbe il Potere militar-industriale della giustificazione necessaria ad aumentare i profitti del business dei confini e dell'Architettura dell’Oppressione. Tiziano Terzani ne scriveva già nel 2001, in una famosissima lettera inviata ad Oriana Fallaci, attraverso il Corriere della Sera dell'8 ottobre 2001, a proposito degli attacchi terroristici di Al Qaeda contro gli Stati Uniti del 9/11:

L'immagine del terrorista che ora ci viene additata come quella del «nemico» da abbattere è il miliardario saudita che, da una tana nelle montagne dell'Afghanistan, ordina l'attacco alle Torri Gemelle; è l'ingegnere-pilota islamista fanatico, che in nome di Allah uccide se stesso e migliaia di innocenti; è il ragazzo palestinese che con una borsetta imbottita di dinamite si fa esplodere in mezzo alla folla.
Dobbiamo però accettare che per altri il «terrorista» possa essere l'uomo d'affari che arriva in un paese povero del Terzo Mondo con nella borsetta non una bomba, ma i piani per la costruzione di una fabbrica chimica che, a causa di rischi di esplosione e inquinamento, non potrebbe mai essere costruita in un paese ricco del Primo Mondo.
E la centrale nucleare che fa ammalare di cancro la gente che ci vive vicino? E la diga che disloca decine di migliaia di famiglie? O semplicemente la costruzione di tante piccole industrie che cementificano risaie secolari, trasformando migliaia di contadini in operai per produrre scarpe da ginnastica o radioline, fino al giorno in cui è più conveniente portare quelle lavorazioni altrove e non essendoci più i campi per far crescere il riso muoiono di fame?

«Voglio solo dire», conclude Terzani

che il terrorismo, come modo di usare la violenza, può esprimersi in varie forme, a volte anche economiche, e che sarà difficile arrivare ad una definizione comune del nemico da debellare

Questo soprattutto quando un'ampia parte di quel "terrorismo" continua a nascondersi dietro la tutela dei valori "occidentali" o "atlantici" e della collegata necessità di esportare una Democrazia che non ha alcun bisogno di essere diffusa, come vedremo in un articolo futuro, soprattutto nella sua versione "cosmetica" così perfettamente sovrapponibile agli interessi di Washington.


uesto articolo fa parte della serie "Achtung Disertoren!", l'approfondimento di Inchiostro Politico su antimilitarismo, guerra e diserzione sullo sfondo della guerra in Ucraina.


Note:

  1. "Sturmtruppen", disegnato da Franco "Bonvi" Bonvicini tra il 1968 ed il 1985, è stato uno dei pochi fumetti antimilitaristi italiani, pubblicato per la prima volta sul quotidiano Paese Sera. Oltre alla critica, tanto feroce quanto ilare, della guerra attraverso i soldaten, Bonvi riesce ad affrontare temi come razzismo, omosessualità, morte e religione
  2. Una versione alternativa della frase - Se la patria chiama, lasciatela chiamare - si trova nella "Canzone della marcia della pace", scritta da Fausto Amodei e Franco Fortini per la 1° Marcia per la Pace Perugia-Assisi del 24 settembre 1961. "Se la patria chiama ditele che ripassi", è stato un giornale pubblicato dai Gruppi Nonviolenti Bolognesi prima come inserto di Notizie Radicali, testata del Partito Radicale, poi come pubblicazione autonoma dopo il passaggio alla direzione del Gruppo Antimilitarista Padovano e il trasferimento della redazione da Bologna a Padova. Nel 1973 il giornale termina completamente le pubblicazioni, che puoi consultare sul sito selapatriachiama.org
  3. Il termine, coniato dall'architetto Eyal Weizman, definisce il modo in cui il governo di Israele utilizza la modellazione dello spazio urbano per perpetrare l'occupazione dei territori della Palestina
  4. Il dato, aggiornato a febbraio 2024, è fornito dall'Unhcr, l'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati
  5. Alexander Langer (1946-1995) è stato docente, scrittore, giornalista, politico di Lotta Continua e tra le voci più importanti del pacifismo e dell'ambientalismo italiano e tra i fondatori dei Verdi italiani e del Movimento verde europeo, cui ha sempre collegato il forte impegno in iniziative per la pace – ad esempio in ex-Jugoslavia – e la convivenza, la difesa dell'ambiente e i rapporti tra nord e sud del mondo. Le citazioni che lo riguardano sono prese da un articolo ("La causa della pace non può essere separata da quella dell'ecologia") pubblicato su Azione Nonviolenta del 1 aprile 1989
  6. Il fucile spezzato è riconosciuto come il simbolo internazionale dei movimenti nonviolenti e antimilitaristi

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