Reprimere conflitto sociale, restaurare il pensiero unico cancellando il Potere del popolo: a questo serve, davvero, il “laboratorio” Ucraina. Ponendo la Democrazia sotto un sempre più forte assedio.
«Dobbiamo chiederci se questa guerra ha ancora una giustificazione umanitaria» scrive Alessandro Marescotti nella sua "Lettera aperta sulla guerra in Ucraina", indirizzata ad Elly Schlein e pubblicata su PeaceLink il 14 marzo 2023 (grassetti nelle citazioni miei, ndr). La base di partenza per rispondere a questa domanda muove dalla battaglia di Bakhmut - una serie di scontri tra esercito ucraino e russo avvenuti tra il 1° agosto 2022 e il 20 maggio 2023 – che gli «esperti di cose militari», scrive Marescotti, considerano «una delle battaglie più stupide che sia mai stata combattuta in tutta la storia militare». «Mai come ora», scrive sempre Marescotti in un diverso articolo per Peacelink (L'invio delle armi in Ucraina è stato un fallimento)
gli esperti militari sono imbarazzati di fronte alla insensata serie di scelte fatte in questa lunghissima battaglia condotta alla fine per mere ragioni di immagine, senza rilevanza militare
Perdere una guerra per vendersi le armi
Gli «esperti» non sono però in grado di rispondere alla più importante tra le domande che si possano fare nella e sulla Guerra, una domanda che assume maggior importanza ad oltre 2 anni dall'inizio del conflitto tra Kiev, Washington e Mosca: stiamo facendo bene ad inviare tutte queste armi all'Ucraina, di fatto senza alcuna opposizione istituzionale né controllo, tanto che una parte di quelle armi sono già state triangolate verso altre zone di guerra? Qual è la loro effettiva efficacia sul campo di battaglia?
È impossibile rispondere con precisione a questa domanda data la natura stessa di questo commercio: oggi Adam Yamagouchi e Alex Pena indagano – in una inchiesta che la Cbs, non proprio la Pravda o Russia Today, manda in onda il 7 agosto 2022 – sull'Ucraina come ponte per l'invio delle armi Nato ad altri Paesi come negli anni '90 giornali e tribunali indagavano sullo scandalo Iran-Contra (1985-1987) o sullo scambio rifiuti tossici per armi che in quello stesso decennio investe tanto la guerra civile in Somalia quanto la guerra che porterà alla dissoluzione della Jugoslavia. Un traffico criminale che definisce la Guerra come strumento per altri piani e intreccia una fitta trama di navi inabissate, omicidi senza colpevoli e criminalità ai più alti vertici dello Stato cosiddetto democratico.[Why military aid in Ukraine may not always get to the front lines].
Where to invade next?
«Non vi è alcuna valutazione umanistica» in chi muove le pedine della guerra in Ucraina, scrivono i subcomandanti zapatisti Moisés e Galeano nella lettera pubblicata in Qui siamo in guerra[1]. Da storica voce del Sud Globale e rappresentanti di una delle comunità politiche antagoniste più importanti degli ultimi decenni – l'Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale della regione messicana del Chiapas - i subcomandanti mettono in luce come
i grandi capitali e i loro governi "occidentali" sono rimasti in poltrona a contemplare – e persino incoraggiare – la situazione che si stava deteriorando
La consapevolezza del Sud Globale punta il dito contro quell'ipocrisia atlantica – il doppio standard dei «grandi capitali e i loro governi» - che condanna e muove guerra a Vladimir Putin per gli stessi motivi sui quali giustifica l'«invasione di altri popoli i cui processi non sono di gradimento del grande capitale», come scrivono Moisés e Galeano. Basta una minima conoscenza della (vera) Storia delle relazioni internazionali degli Stati Uniti per ricordare capitoli come il Plan Condor in America Latina (1975-1997) secondo gli studi più recenti) o l'operazione "anticomunista" Gladio in Europa (1952-1990) che confermano quanto sostengono i subcomandanti nella loro lettera. A quel punto, continuano Moisés e Galeano, i governi che oggi fanno guerra alla Russia di Putin - identificando con crassa ignoranza e un briciolo di pensiero criminale l'intero popolo con il suo dittatore – e, domani, alla Cina
invaderanno altre geografie per salvarli dalla "tirannia nazista" o per porre fine ai "narco-stati" vicini. Ripeteranno quindi le stesse parole di Putin: dobbiamo "denazificare" (o il suo equivalente) e abbonderanno i "ragionamenti" sui "pericoli per i loro paesi"
Tenendo conto di questa microlezione di Storia della geopolitica statunitense, diventa interessante
- constatare la totale irrilevanza del processo elettorale a partire proprio dal mediaticamente importantissimo voto statunitense che, scrive Alessandro Volpi su Valori.it, agli occhi del Potere finanziario rende perfettamente intercambiabili per la Presidenza Donald Trump, Joe Biden e Kamala Harris
- con Neta Crawford[2], chiedersi se gli Stati Uniti abbiano basi militari dove queste sono effettivamente necessarie - la domanda può allargarsi a qualunque altro Paese - o se la loro presenza all'estero non sia altro che una «eredità» della Guerra Fredda e della "guerra al (t)errorismo"[3] post 9/11
Tornando al contesto di una Ucraina inserita in questa Where to invade next? - mutuando dal titolo del film di Michael Moore del 2015 [trailer italiano] – più che all'affaire Taiwan, prodromico alla guerra sino-atlantico, o alla "crisi" delle isole Salomone è necessario guardare ai 411 miliardi di dollari che la Banca Mondiale stima saranno spesi per ricostruire il Paese e, dunque, per la sua spartizione tra gli alleati-sponsor. Una redistribuzione di affari e contratti decisa durante una conferenza-bluff tenuta a Roma tra il 26 e 27 aprile 2023 – Zelensky non partecipa, a riprova del vero (non)peso internazionale del Presidente ucraino – e che dovrebbe rendere chiaro anche al più stolido tra i commentatori atlantici che il vero valore-cardine su cui la guerra in Ucraina è stata impostata fin dal primo giorno non ha mai avuto davvero a che fare con l'abbattere il regime di Vladimir Putin.
La guerra in Ucraina come laboratorio
Dati alla mano, semantizzare Kiev come la Capitale dell'"ultimo baluardo" a difesa di valori e tradizioni occidentali/atlantici ha scalfito a malapena il regime putiniano che, arrivato al Potere nel 2000, è fin da subito fautore di una perenne alternanza tra amicizia e contrasto con Washington e Bruxelles. Anzi, attraverso il conflitto Mosca ha potuto rafforzare i suoi rapporti con i Paesi del Sud Globale, che ormai da tempo stanno riannodando le fila anticolonialiste per porre definitiva fine a quell’unipolarismo statunitense che ha guidato il mondo negli ultimi decenni.
Al contrario, la guerra in Ucraina viene usata anche per mutare, profondamente, il volto dell'Europa "unita", tanto quella dei Palazzi e della burocrazia quanto quella delle strade in protesta e dei popoli sognata – e definita – nel Manifesto di Ventotene del 1941: il classico trucco del "nemico alle porte" ha dato il via ad un processo di completa ristrutturazione dell'economia, della politica e della cultura europea in chiave militarista, verso quella urFortezza che elargisce diritti e libertà democratiche a colpi di manganelli, sfruttamento e "ricomposizione ostile" delle città (argomento, quest’ultimo, su cui torneremo con un approfondimento futuro ndr).
È un progetto per nulla casuale - nessun programma politico degno di tal nome, d'altronde, dovrebbe esserlo - ideato e cucito nel tempo un pezzo alla volta, come tessere di un puzzle collegate perfettamente da una mano esperta, che trova nella riconferma di Ursula von der Leyen alla guida della Commissione europea la sua naturale evoluzione da un contesto di partenza nel quale il ritorno dei partiti fascisti e l'ingresso della cultura militare ai più diversi livelli dell'istruzione pubblica ricoprono una funzione quanto meno sintomatica. Declinati nello scenario ucraino, i 2 punti vedono:
- i partiti nazionalisti enfatizzare il ruolo della Russia come «nemico». Così, racconta Sergey Movchan del Solidarity Collectives[4] di Kiev a Vittorio Sergi per Qui siamo in guerra, quando Mosca annette Crimea e Donbass il discorso nazionalista-antirusso «ha ricevuto una legittimazione», come una "profezia" che si autoavvera a partire dalle rivolte filoatlantiche di piazza Maidan e trasforma «l'ideologia mainstream» dell'Ucraina in una «versione soft del nazionalismo»
- il Movimento Pacifista ucraino denunciare, nel marzo 2023, la nomina di Oksen Lisovyi a ministro dell'Istruzione e della Scienza: da direttore della Junior Academy of Science – centro di educazione scientifica appoggiato da organizzazioni internazionali contrarie alla guerra, come l'Unesco – annuncia di voler «arruolare giovani studenti nell'esercito» per «costruire una società di combattenti»
Date e applicate queste premesse, l'Ucraina diventa laboratorio perfetto in cui testare le teorie sul piano di militarizzazione dell'Europa e, soprattutto, la sua reiterabilità in altri contesti specifici, come la Georgia o Taiwan, in cui si sta replicando la stessa sceneggiatura usata con Kiev dal 2014, seppur ad uno stadio primordiale e ancora fuori dai radar mediatici. La ricetta che oggi vale per l'Ucraina ma domani potrà essere applicata a qualunque Paese, in un remake del Plan Condor o dell'operazione Gladio, ha uno schema fisso che vede:
- un nemico-cattivo "indiscutibile"
- un confine su cui sperimentare nuove politiche e nuovi strumenti per il controllo di territori e persone
- una zona territoriale contesa – ancor meglio se piena di risorse naturali – su cui sviluppare un conflitto "simil-etnico" con cui smantellare la protesta sociale interna, per sostituirla con la richiesta di intervento umanitarista da parte di una forza esterna come la Nato, le Nazioni Unite o una coalizione di Paesi, chiamati a ripristinare o a fornire libertà e Democrazie definite secondo le necessità atlantiche
Per approfondire:
- Georgia come l'Ucraina, la scorciatoia della protesta di piazza contro il governo autoritario – Stefano Grazioli, Lettera43, 18 maggio 2024
- Rischi e limiti nell’apertura della NATO all'ingresso di Georgia e Ucrraina – Maurizio Boni, AnalisiDifesa, 17 gennaio 2022
Rientrano in questo schema l'espulsione dall'Ucraina di tutti i giornalisti che provano a raccontare la guerra anche dalle repubbliche autoproclamatesi indipendentiste - tra cui 8 giornalisti italiani, a cui va sempre aggiunto l'omicidio di Andrea "Andy" Rocchelli e Andrey Smirnov - e la pubblicazione da parte della Junior Academy of Science, di un manuale per bambini su come sopravvivere alla guerra e nel quale si sostiene che «chiunque critichi la Nato sui social network è un "bot nemico"».
Un indizio, ulteriore, di come l'attuale classe dirigente ucraina sia legata a doppio filo al Potere atlantico, alle sue armi e alla prosecuzione della guerra con Mosca. Che Volodymyr Zelensky si identifichi in un "potenziamento" del professor Holoborod'ko[5] fuori dallo schermo del televisore, come l'ultima linea di difesa del mondo libero contro la “barbarie” – e che libero non è affatto – fa parte di questa (pessima) sceneggiatura.
L'ultimo bluff del diritto internazionale "universale"?
Ad agosto 2024 un contingente ucraino travalica il confine ed entra in Russia, nella regione di Kursk: con un diritto internazionale equo questo imporrebbe ai Paesi Nato di intervenire – secondo il "famoso" art.5 del Trattato istitutivo – a difesa di Mosca contro l'invasione ucraina, che ad oggi rimane un Paese non-Nato. Una opzione inapplicabile nel gioco, reale, degli equilibri geopolitici e con una opinione pubblica atlantica che, chiamata a scegliere, voterebbe con poche remore per lo sterminio del popolo russo, identificato – dopo oltre 2 anni di becera propaganda "nazi-partigiana" spacciata per giornalismo – con le volontà del suo Presidente-dittatore.
Per approfondire:
- Russia, tre giorrnalisti italiani Rai accusati da Mosca per avere ripreso l'invasione ucraina a Kursk – Maria Michela Dalessandro, Euronews, 19 agosto 2024
- Rainews24, l'altoparlante dei nazisti ucraini – Marco Santopadre, Contropiano.org, 13 febbraio 2015
- Il silenzio degli innocenti. Come funziona la propaganda – John Pilger, estratti da un discorso tenuto al Trondheim World Festival, in Norvegia, il 6 settembre 2022, traduzione dii Giorgio Riolo, Effimera, 16 settembre 2022
(Mal)Informare per censurare. O del giornalismo come soldato
Più che in altri conflitti, il ruolo della malainformazione fin dal 24 febbraio 2022 concorre a trasformare la proxy war[6] tra Washington e Mosca in una guerra potenzialmente infinita ed oggi allargata al territorio russo, pur nella certezza di tutti gli attori coinvolti che le armi taceranno per un compromesso politico e non per la vittoria militare dell'una o dell'altra parte. È la stessa malainformazione che collabora attivamente a tenere in vita il sistema di «occupazione illegale e apartheid» creato da Israele contro il popolo palestinese – la definizione è tratta da un parere consultivo della Corte Internazionale di Giustizia dell'Aja del 19 luglio 2024 – grazie all'omertà di plaudenti leader e leaderini atlantici amanti, non corrisposti, della parola "democrazia" ma svuotata del suo significato reale.
In entrambi i casi – ma lo stesso potrebbe dirsi di altri conflitti internazionali nel mondo – è una mera questione di contratti, firmati o da firmare, nascosti sotto la coltre dei "diritti negati", dei valori da difendere e di un universalismo che proprio tra Kiev e Gaza svela di nuovo il suo vero volto colonialista. Si è già detto delle risorse "casualmente" sfruttabili dal conteso territorio del Donbass, ma lo stesso vale per la Palestina, tra le cui macerie si troverebbero «considerevoli» giacimenti di petrolio e gas naturale sfruttate invece da Israele «senza il dovuto rispetto del diritto internazionale».
Reprimere conflittualità sociale aizzando una guerra "mondiale"
Da un lato un governo "fantoccio" di Kiev, fautore di una politica neoliberista, fortemente privatizzatore in economia e repressivo di diritti e libertà in politica interna; dall'altro una popolazione che, con la guerra del 2022, prova a mettere in pratica azioni di resistenza civile nonviolenta – alcune delle quali raccolte nel più volte citato studio del professor Felip Daza Sierra – memore di una cultura che lega l'esperimento anarchico di Nestor Machno (1918-1921) alle pratiche di sabotaggio adottate per smantellare il vecchio controllo sovietico su Kiev e da cui il governo locale, sostiene il professor Yevhen Hbibovitksy dell'Università Cattolica dell’Ucraina[7]
ha ereditato strutture di potere centralizzate, sfiducia sociale e un sistema abituato alla repressione
Un governo che sceglie di svendere la propria indipendenza per farsi ancella degli interessi del complesso militar-industriale atlantico, attraverso quella richiesta di «più armi» e di cancellare le «restrizioni» sul loro uso, e decide di infischiarsene della volontà di una popolazione che invece chiede di individuare «meccanismi efficaci per prevenire ulteriori guerre, aggressioni ed escalation»[8], un maggior contrasto alla violenza contro le donne oltre che una loro maggiore inclusione «in tutti i processi sociali e decisionali» - con la «effettiva attuazione della convenzione di Istanbul» [qui il testo, in .pdf] - e la «democratizzazione dei processi industriali». In questo posizionamento ideologico trova logica sistemazione la cancellazione delle elezioni previste per il 21 maggio 2024, rinviate per effetto della legge marziale e basata su due motivi politici principali:
- un Presidente, Volodymyr Zelensky, che non può smarcare la sua immagine dal Potere atlantco e militare - né dal punto di vista personale, né come principale rappresentante delle istituzioni locali - potendo contare sulla promessa di non essere ucciso, almeno da parte russa e almeno finché sarà utile agli interessi e ai piani di Washington nell’area
- la legge "immarcescibile" per cui i gruppi di Potere che devono la loro posizione a denaro, sfruttamento e gerarchia non investono nella Pace
Gli equilibri che da questi punti germinano, portano la voce antimilitarista e nonviolenta ai margini del dibattito pubblico, sia nazionale che internazionale: per media e partiti chiunque provi a sviluppare concetti disarma(n)ti sulla Guerra diventa un "terrorista", anche quando sono quegli stessi politici e quegli stessi operatori dell'informazione a tifare, propagandare e sostenere la narrazione filo-nazista del conflitto. L'hashtag "Slava Ukraini" è emblema perfetto di questa imbelle partigianeria.
Nel caso ucraino, l'apice di questa condizione coincide con il punto di partenza dell'escalation militare russa, la strage nazifascista alla Casa dei Sindacati di Odessa del 2 maggio 2014: seppur censurato nella narrazione atlantico-ucraina, questo episodio rappresenta la manifestazione eloquente della supremazia del pensiero militarista e del Potere che ne è espressione. Letta dal lato russo, la strage è il casus belli su cui Mosca decide prima l'annessione della Crimea e poi la guerra. Un atto che porta:
- la classe dirigente ucraina a legarsi in modo sempre più forte all'ideologia nazifascista e militarista, oltre che agli interessi "anticomunisti" degli Stati Uniti, che proprio nel 2014 inviano a Kiev l'allora vicepresidente Joe Biden
- una parte della popolazione ad abbracciare pratiche di pluralismo sociale, come le definisce Daza Sierra, basate su forme anche embrionali di autogestione e processi comunitari, nel tentativo – ad oggi infruttifero – di trasformare l'Ucraina in una democrazia vera, non più dipendente da un'autorità centrale o centralizzata né da una potenza straniera, un Paese-sponsor o una organizzazione internazionale che sia
Più che nello scontro tra l'ovest agricolo e filo-atlantico e l'est industriale e filo-russo, è in questa direzione – nella lotta tra classe dirigente e popolo – che si sarebbe dovuta sviluppare la guerra in Ucraina se, a partire dal 2014, Washington e Mosca non fossero intervenute per internazionalizzare lo scontro trasformandolo in una guerra per procura, annichilendo il conflitto sociale interno per sostituirlo con ciò che nell'agenda geopolitica degli Stati Uniti non è che l'ennesimo tentativo di mantenere in vita lo status quo di pesi e contrappesi internazionali, la "pax" americana, che negli ultimi 2 anni hanno, letteralmente, mandato in frantumi.
urFascismi per Democrazie sotto assedio
L'evoluzione militarista dell’Unione Europea, la guerra in Ucraina, la totale impunità con cui il governo di Benjamin Netanyahu sta operando per cancellare la popolazione palestinese dal pianeta – per rimanere agli esempi fin qui fatti – mostrano quanto sia fondata la tesi secondo cui la Democrazia sia sotto assedio, come sostiene tra gli altri l'economista Emiliano Brancaccio che così titola un suo libro del 2022[9].
Un piano nel quale il ritorno al potere di partiti di ispirazione nazifascisti – o urfascisti, per dirla con la definizione di Umberto Eco – non è che una tappa parziale di una modifica strutturale che della democrazia mantiene il gioco elettorale ma non mette in discussione il "modello di accumulazione per espropriazione", mutuando la definizione dal giornalista Raúl Zibechi.
L'unico dibattito realmente esistente riguarda il modo in cui gestire un modello che né la destra né la sinistra discutono
Guardando ad esperienze di "regressione democratica" in Paesi come Honduras, El Salvador e Guatemala, Zibechi si chiede come possa essere «democrazia» un sistema politico, economico e sociale costruito «sulla povertà[…][della popolazione], sull'emarginazione e sulla violenza». Risposta breve: non lo è.
Risposta medio-lunga. Quella forma “elettorale” di democrazia che è vanto esportabile dei leaderini atlantici – e che, dicono i dati più recenti, interessa sempre meno elettorato – si chiama "Principio di autoconservazione del Potere": è indifferente al colore di governi e opposizioni parlamentari, tra loro sempre meno distinguibili, e si attiva ogni volta che un nuovo modello di società prova a mettere in crisi i vecchi equilibri, che per questo vengono difesi con ancor più violenza, ancor più repressione e ancor più propaganda, per evitare che la "nuova" Democrazia possa diffondersi tra le persone.
Raccontare gli aspetti puramente militari, "da trincea", della Guerra risponde esattamente a questa logica, che si registra anche nella complice indifferenza dei Paesi nominalmente "human rights-friendly" verso molti regimi che democratici non sono, da Israele a Egitto e Turchia, per fare qualche nome. Una logica, cioè, che censura la cultura della Pace e dell'antimilitarismo tanto quanto lavora per bloccare la diffusione delle istanze anarchiche, femministe, antirazziste e ambientaliste. Istanze di democratizzazione che ogni giorno lavorano, citando il giornalista Mauro Rostagno, per «creare una società in cui valga la pena trovare un posto» per tutti[10].
Questo articolo fa parte della serie "Achtung Disertoren!", l'approfondimento di Inchiostro Politico su antimilitarismo, guerra e diserzione sullo sfondo della guerra in Ucraina.
Note:
- Nerofumo (a cura di), "Qui siamo in guerra. Anarchia, antifascismo e femminismo in Ucraina, Russia e Bielorussia. Scritti e testimonianze". Edizioni Malamente, 2022, p.20
- Neta Crawford, politologa statunitense, professoressa di Relazioni Interrnazionali all'Università di Oxford, dal 2023 è codirettrice del progetto "Cost of the War" della Brown University di Rhode Island, Stati Uniti. Le sue citazioni sono riprese dalla sua intervista con Ali Rae, giornalista di Al Jazeera, per la sua trasmissione "All Hail - Endless War Endless Climate Crisis" [video]
- Il riferimento è all'album "War on Errorism" del gruppo punk statunitense NOFX. Pubblicato nel 2003, il disco si sviluppa come una feroce critica verso l'amministrazione di George W. Bush (2001-2009) e, soprattutto, verso la guerra in Iraq e Afghanistan, teatri di sviluppo della "guerra al terrorismo" che il governo statunitense avvia come risposta agli attentati dell'11 settembre 2001. Conflitti che il gruppo giudica errori. Da qui il titolo dell'album. Due anni prima, nell'Argentina della crisi socio-politica del 2001, il collettivo Ectétera dà vita al "Movimento Errorista", movimento internazionale nato come «critica al mercato neo-liberista», sia artistica che politica, e agli Stati che di quel mercato sono ancelle.
- Nerofumo, op.cit., p.56
- Vasilij Petrovič Holoborod'ko è il personaggio – un professore di liceo che si ritrova Presidente dell'Ucraina – che Zelensky interpreta in "Servitore del Popolo", serie televisiva che sembra aver spianato la strada alla sua reale carriera politica
- Secondo la definizione coniata nel 1964 dal politologo Karl Deutsch, si definisce proxy war una guerra combattuta tra due superpotenze – Stati Uniti/Nato e Russia, nel caso specifico – sul suolo di un Paese terzo, coinvolto portando al centro del conflitto una questione interna al Paese stesso, come l'ingresso dell'esercito russo in Donbass il 24 febbraio 2022. Un episodio che ha posto ai margini della narrazione lo scontro interno tra la popolazione ucraina e un governo tutt'altro che democratico
- Felip Daza Sierra, "Ukrainian Nonviolent Civil Resistance in the face of War" (in italiano: "La resistenza civile nonviolenta ucraina di fronte alla guerra", citazione a pag. 10), realizzato nell'ambito di un progetto condotto dall'International Catalan Institute for Peace (ICIP) e dall'Interenational Institute for Nonviolent Action (Novact) su 235 azioni nonviolente adottate dalla popolazione locale tra febbraio e giugno 2022. Daza Sierra è professore di Trasformazione sociale, patrocinio e diritti umani presso l'Università Science Po di Parigi e l'Universitat oberta de Catalunya e lavora da oltre 15 anni nel campo della costruzione della pace e dell'azione nonviolenta tra Europa, Nord Africa e Medio Oriente
- Nerofumo, op.cit., pp.51-52
- Emiliano Brancaccio, "Democrazia sotto assedio. La politica economica del nuovo capitalismo oligarchico. 50 brevi lezioni", Milano, Piemme Edizioni, 2022
- Sul muro dell'Università di Trento, facoltà di Sociologia, nel 1968 il futuro giornalista Mauro Rostagno - ucciso dalla mafia trapanese nel 1988 – scrive: «Noi non vogliamo trovare un posto in questa società, ma creare una società in cui valga la pena avere un posto»
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