Cercavamo i proiettili nei dizionari/e la polizia ci canta la ninnananna alla scuola Diaz/Sacco e Vanzetti si rigirano sulle sedie elettriche/Nei tuoi occhi annegheremo, e la Digos ci farà un servizio fotografico/Ti lascerai dietro catastrofi. Ma ci sarà sopra il copyright

(Vasco Brondi - "Cosa racconteremo di questi cazzo di anni zero")

giovedì 3 ottobre 2024

La Guerra è un Potere infestante. Digli di smettere [Achtung Disertoren! #12]


La Guerra ucraina è anche conflitto popolo-governi. Mentre i primi provano a creare altri mondi possibili, gli altri vendono la Guerra nella sua forma più ingannevole: la Pace "giusta". Ma "giusta" per chi?


Carri armati in autostrada
Carro armato in autostrada. Evoluzione militarista del trattore in tangenziale?

Fino alla controffensiva ucraina in Russia dell'agosto 2024 la guerra tra Mosca e l'asse Washington-Bruxelles-Kiev registra una lunga fase di stallo, o almeno così dicono gli esperti più presenzialisti sui latifondi mediatici atlantici. Questo nuovo e forse inaspettato evento non cambia il quadro generale, dove la riconferma del blocco di Potere militarista alla guida dell'Unione Europea – e la concordanza di intenti bellici tra i candidati alle elezioni statunitensi di novembre 2024 – aumenta la frattura tra governi e popolo[1] e conferma, per i primi, la necessità affaristica della Guerra, alzando così il numero di armi trafficate, l'importo dei debiti nazionali e le spoglie tornate a casa «legate strette nelle bandiere».

Il popolo spezza i fucili, il governo li vende

Dall'altro lato, posto ai margini della narrazione bellicista, si sviluppa un progetto nuovamente altermondialista e antimilitarista, tanto tra la popolazione direttamente coinvolta dalla Guerra – come mostra il più volte citato rapporto del professor Felip Daza Sierra - tanto all'esterno dei confini ucraini, dove la contemporaneità con l'apartheid antipalestinese sta (ri)creando un fronte comune di opposizione popolare e internazionalista alla Guerra in tutte le sue svariate forme.

Non possiamo permettere ai politici di gonfiare la loro popolarità e alle industrie militari di trarre profitto dall'infinito spargimento di sangue

scrivono il Movimento pacifista ucraino, il Movimento russo degli obiettori di coscienza al servizio militare e il Movimento nonviolento italiano, in un appello congiunto del 14 aprile 2022, nel quale chiedono ai rispettivi governi di impegnarsi per risolvere la guerra in Ucraina attraverso la via diplomatica e la cancellazione delle spese militari, smettendo di perseguire quella soluzione militare che è invece l'unica cifra dei governi atlantici da 2 anni a questa parte. L'urFortezza si regge sui fucili venduti e usati, non su quelli spezzati.

#StoptheWarNow

È anche per rendere più concreta la risposta alternativa ad un mondo che si militarizza sempre più negli obiettivi, nei modi e nelle idee che tra il 26 settembre ed il 3 ottobre 2022 175 organizzazioni italiane contrarie alla Guerra – tra cui Rete Italiana Pace e Disarmo, Libera contro le Mafie, Mediterranea e Comune-Info – portano aiuti umanitari alle popolazioni in fuga dalle regioni ucraine più colpite dagli attacchi russi attraverso la 4° Carovana "#StoptheWarNow"[2], che si è posta anche l'obiettivo di costruire accordi di partenariato con ong ucraine che lavorano per la risoluzione non militare del conflitto.

Con una guerra che concorre a peggiorare le condizioni di vita non solo delle popolazioni direttamente coinvolte – come perfettamente dimostra l'effetto domino causato dall'iniziale blocco dell'esportazione di grano - la Carovana (di)mostra ancora una volta la definitiva scissione tra classi dirigenti e "dittatoriati", con le prime sempre più integrate nel complesso militar-industriale, tanto da aver creato una consuetudine di porte girevoli tra vertici militari e ministeri[3], e le popolazioni che manifestano e si attivano direttamente per fare guerra alla Guerra. Per questo l'appello dei movimenti pacifisti e nonviolenti chiede

i nostri governanti usino i soldi del popolo per combattere la povertà e per il benessere di tutti, non per nuove armi. Un inutile sforzo bellico non dovrebbe distrarci dalla risoluzione di urgenti problemi socioeconomici ed ecologici

Cercando "un altro fondamento all'intero sistema di rapporti tra i popoli"

Consolidata per via elettorale l'identità fortemente atlantico-militarista dell'Europa nel von der Leyen 2, è logico pensare che anche nei prossimi anni continuerà la ignobile battaglia narrativa sulle guerre, i profitti e le vere motivazioni degli interventi militari nascoste sotto la difesa dei valori, l'esportazione di democrazia e l'emergenza umanitaria. Un contesto dal quale persino una parte del mondo militare atlantico inizia ad allontanarsi, dal generale Fabio Mini[4] ai generali francesi contro Macron al capo di Stato maggiore statunitense Mark Milley. Scrive Alessandro Marescotti su PeaceLink il 14 marzo 2023 in una "Lettera aperta sulla guerra in Ucraina" indirizzata alla segretaria del Partito Democratico Elly Schlein [vedi Achtung Disertoren! #11]:

Dunque la guerra con la Russia non può essere vinta. E va chiusa al più presto perché non ha senso mandare al massacro altri soldati per non ottenere alcun risultato, tanti costi per zero benefici[…]Ci hanno illuso che bastassero poche settimane di sanzioni per far collassare economicamente la Russia e l'invio di armi doveva servire il tempo necessario ad aspettare che arrivasse l'effetto delle sanzioni. Non è stato così

Se anche i militari iniziano a dubitare della Guerra come sistema di risoluzione dei conflitti, diventa ancor più necessario lavorare per «un altro fondamento all’intero sistema di rapporti tra i popoli», come già agli inizi del '900 chiedeva Bertha von Suttner, scrittrice austriaca e premio Nobel per la Pace nel 1905[5]. Un progetto che due guerre mondiali e una quantità infinita di conflitti locali dopo chiama "giusta" una Pace che è solo eliminazione fisica e culturale di quel nemico che domani, come ieri, potrebbe essere invece il migliore – e il più utile – degli amici.

Organizzare l'altro mondo possibile contro la Guerra

L'«altro fondamento» cui aspirava von Suttner oggi dovrebbe ripartire dal mettere in discussione il ruolo, gli equilibri e la stessa esistenza delle principali organizzazioni sovranazionali atlantiche, compreso il modo – fallimentare dal punto di vista della Pace – in cui queste gestiscono le relazioni internazionali e i "fatti" del mondo. Dichiara ad esempio Angela Dogliotti, presidente e ricercatrice del Centro studi Sereno Regis ed ex segretaria del Movimento nonviolento italiano, in un'intervista proprio con il centro studi [vedi link in nota n.5]:

Alla fine della seconda guerra mondiale le Nazioni Unite nascono proprio per trovare alternative al flagello della guerra. Oggi l'ONU è uno strumento bloccato nel suo funzionamento, ma non per questo va abbandonato, anzi necessita di radicali riforme

Esperienze come il confederalismo democratico kurdo, la proposta italiana per la creazione di un "Dipartimento della Difesa Civile non armata e non violenta" o il municipalismo adottato, ad esempio, dall'ex sindaca di Barcellona Ada Colau (di)mostrano come oggi già esista, forse in modo ancora primordiale e non sempre organizzato, un altro mondo possibile rispetto al modello a capitalismo armato, che vede in istituzioni come la Nato i garanti e promotori e nella Guerra il pilastro commerciale e ideologico più importante. Un pilastro dalle fondamenta fragili ma dotato di un ottimo reparto marketing.

L'ingannevole pubblicità della Guerra. Prologo

È già con Norman Schwarzkopf e la prima guerra del Golfo Persico (agosto 1990-febbraio 1991) che le strategie del marketing commerciale vengono applicate alla Guerra: dopo la disfatta "civil-culturale" ricevuta dall'opposizione al conflitto in Vietnam, dove fortissimo è l'impatto sulla narrazione mediatica dei reduci, per il complesso militar-industriale è necessario vendere un prodotto fatto di «merda, sangue, morte e dolore» - per dirla con gli epiteti scelti dal giornalista Nico Piro – in modo da affascinare un pubblico media(tica)mente distratto, che guarda gli scontri al riparto di un divano e un televisore, possibilmente di fattura elevata in modo da non perdere neanche il dettaglio più macabro.

«Fascinazione» per la guerra, la chiama la giornalista Elena Pasquini nel suo libro "La meccanica della Pace"[6] e rappresenta l'aspetto più criminale del marketing bellicista perché in grado di fornire un'intera costruzione ideologico-identitaria a chi vi aderisce, fatta di partiti da votare, modelli e scelte politiche ed economiche da sostenere, gruppi etnici o di cittadini da tacciare come nemico e usati dai "pubblicitari della Guerra" come spauracchio per impaurire il pubblico. In questo modello, al giornalismo viene lasciata solo una non-scelta tra aderire o perire, non sempre solo dal punto di vista professionale.

Nico Piro lo definisce "Pensiero Unico Bellicista", una deriva antidemocratica che da 2 anni colpisce quella fetta di popolazione atlantica – minoritaria fuori dalla bolla dei social network – che tifa per la guerra con la stessa passione che mette nel sostenere la propria squadra del cuore solo perché consapevole che a morire e ammazzare, nella guerra che sta sul terreno e non nel televisore, sarà comunque qualcun altro.

Pace "giusta" per chi?

Si deve al "Pensiero Unico Bellicista" la creazione del concetto di "Pace giusta", un gioco linguistico che lascia la forma per smantellare la sostanza, con il quale si indica quella Pace che arriva solo con l'annientamento completo del nemico, anche quando questo è stato "amico" fino al giorno precedente – come Vladimir Putin e un'ampia lista di nomi per il Potere atlantico – o è stato finanziato proprio per giustificare la Guerra, come tra Israele e Hamas.

Questa è la Pace delle armi, "giusta" solo per chi le produce, le vende o – nel caso della classe politica – è chiamato a piazzarle ai clienti internazionali. Per tutti gli altri, ad iniziare da quei movimenti popolari che, da posizioni antimilitariste, femministe o ambientaliste, vedono in questa la massima forma di Pace "ingiusta", la soluzione alla guerra in Ucraina si trova solo nell'autodeterminazione del suo popolo, tanto nei territori separatisti che nel resto del Paese. Autodeterminazione che per Victoria Pigul del Feminist Initiativ Group[7] ha un doppio passaggio obbligato:

  • cancellazione del debito estero di Kiev, destinato invece ad aumentare quando la guerra sarà sostituita dalla ricostruzione post-bellica
  • tutela di strumenti e forme della riproduzione sociale[8], oggi minacciata da ogni singolo aspetto del conflitto, dalla distruzione fisica delle infrastrutture civili all'avvelenamento delle terre dovuto alla distruzione di palazzi e all'uso di armi chimiche, fino alle migrazioni forzate da povertà dei Paesi in conflitto, cambiamento climatico – su cui il militarismo ha un impatto fortissimo [come vedremo meglio in uno specifico articolo futuro, ndr] – e coscrizione militare

«La guerra», denuncia inoltre il F.I.G., sta «aggravando» la violenza di genere sia sotto il regime dichiaratamente omofobo di Vladimir Putin che nei territori occupati dall'esercito russo quanto sotto il regime – altrettanto non democratico – di Volodymyr Zelensky.

Pigul pone inoltre l'accento sul fatto che con la guerra il lavoro di riproduzione sociale ricada ancora più che in passato sulle spalle delle donne, «in condizioni particolarmente difficili e precarie» e aggravate dalla necessità di fuga dai territori bombardati, dall'aumento della disoccupazione e dell'inflazione oltre che dal dominio sulla democrazia di governi neoliberisti, dediti a privatizzare il patrimonio pubblico nazionale e reprimere dissenso, diritti e libertà in completa comunione di intenti (capitalistici) che lega Kiev a Washington, a Mosca e alla maggior parte delle capitali europee.

Un idem sentire nel Potere che guida i due blocchi di influenza in cui i "valori tradizionali" dei regimi autoritari (Russia, Bielorussia) combaciano perfettamente con i valori profondi delle democrazie "cosmetiche" atlantiche. Una ulteriore condizione che mette in luce come l'unica posizione che si possa davvero prendere nella guerra in Ucraina sia quella, "antipotere", del non schierarsi né con Putin né con la Nato.

La guerra è un'economia infestante

Quando il Pensiero Unico Bellicista esalta la nuova corsa agli armamenti che scatena la guerra in Ucraina – e che nel 2022 raggiunge la cifra di 2.240 miliardi di dollari, con 127 miliardi in più rispetto all'anno precedente – dimentica che il denaro investito in armi infesta l'intera spesa pubblica, fagocitando tutte le altre voci di spesa che i governi dovrebbero invece usare per migliorare le condizioni di vita delle proprie comunità, ad iniziare dal finanziare istruzione e sanità pubbliche di alta qualità e politiche abitative che permettano a tutte le persone di disporre di una casa degna di tal nome.

O ancora, come si legge in un articolo di Al Jazeera a commento di uno studio delle Nazioni Unite del 2022, la stessa cifra potrebbe essere investita da, nel – e soprattutto dal – Sud Globale per abbattere fino al 2030 gli effetti del riscaldamento globale.

Secondo i dati Sipri[9] relativi al 2022, a guidare l'economia armata globale sono gli Stati Uniti, che mettono a bilancio 877 miliardi di dollari per le proprie spese militari, seguiti ad ampia distanza dai 292 miliardi della Cina: da sole, Washington e Pechino coprono oltre la metà della spesa militare globale. Al terzo posto la Russia, che destina alla produzione di armi "solo" il 10% della spesa militare di Washington, fermandosi a 86,4 miliardi. Una cifra irrisoria se paragonata ai 1.232 miliardi di dollari con cui nel solo 2022 i Paesi Nato finanziano il comparto militar-industriale (+0,9% sul 2021). È chiaro che, di fronte a tali cifre, la tutela dei diritti umani e della Democrazia trovi uno spazio marginale e irrilevante negli interessi dei governi.

Va in questo senso l'"EU Military Mobility", progetto cui l'Unione Europea – scrive su Umanità Nova il giornalista Antonio Mazzeo, tra le più importanti voci dell'ecopacifismo e dell'antimilitarismo italiani – destina 1,7 miliardi di euro per

potenziare e convertire a fini bellici le infrastrutture portuali, aeroportuali, ferroviarie e autostradali dell'Unione Europea

l'EUMM viene approvato nel 2021, mentre il mondo non-militare è ancora alle prese con lockdown, mascherine e tamponi contro il Covid-19. Nel Piano d'azione 2022 con cui Bruxelles sviluppa il progetto, mette in luce Mazzeo, ci sono 2 punti fondamentali:

  1. semplificare le norme doganali, che fino ad oggi hanno impedito la libera circolazione «dei mezzi di guerra e dei beni pericolosi alle frontiere», in un sistema che dovrà anche accrescere «le sinergie con i partner più stretti come Stati Uniti d'America, Canada, Norvegia e Regno Unito»
  2. individuare corridoi di trasporto "multimodali" per muovere armi e truppe sul territorio europeo: ciò significa individuare infrastrutture "dual use" che possano cioè essere usate per il trasporto civile tanto quanto militare. Una ridefinizione che si tradurrà in un maggior traffico militare su strade, ferrovie e vie aeree, in centri logistici e persino sui corsi d'acqua, avverte Mazzeo

Where the streets have war names

Per sviluppare l'EUMM, la Commissione Europea individua 9 corridoi che vanno a comporre il Trans-European Transport Network (Ten-T[10]), che dovrebbe essere costruito entro il 2050 con l'Italia come perno, che in questo modo legherà in maniera indissolubile il suo futuro alla politica bellica dell’Alleanza atlantica. Dal nostro Paese passeranno infatti 4 dei 9 corridoi:

  • Baltico-Adriatico
  • Scandinavia-Mediterraneo
  • Reno-Alpi
  • Corridoio Mediterraneo, indicato come il più importante dei 9 perché in grado di collegare direttamente la Penisola iberica all’Europa dell’est, passando per Francia meridionale e Italia settentrionale

Qui il dubbio amletico che deve sorgere è duplice: quante possibilità ci sono che, nei prossimi anni, a vincere le elezioni politiche saranno partiti e coalizioni contrarie alla Guerra? E inoltre: siamo sicuri che il più volte minacciato "nuovo Impero dagli Urali a Lisbona" sia nei desideri di Putin – come dal 24 febbraio 2022 ci viene raccontato – e non nei più concreti piani atlantici?

Nella sola dorsale mediterranea sono previsti 527 progetti, che andranno a drenare circa 98,4 miliardi di euro dalla spesa civile a quella militare. Tra questi vengono riesumate, o salvate, due delle principali "Grandi Opere Inutili" italiane[11]: la Tav Torino-Lione[.pdf] e il ponte sullo Stretto di Messina, progetti di cui sono da tempo noti i danni ambientali, sanitari oltre che il grado di infiltrazione mafiosa. Nonostante questo, entrambe sono sottoposte all'interesse strategico della Nato e, dunque, alla protezione militare: la pluridecennale opera di repressione del Movimento No-Tav potrebbe presto estendersi anche sullo Stretto, rendendole così intoccabili dalla volontà popolare e, di conseguenza, dal controllo democratico. Il Ddl 1660/2024 approvato il 18 settembre 2024 dalla Camera dei deputati su proposta del governo Meloni va esattamente in questa direzione, con una sostanziale riscrittura del concetto di "criminalità".

Per approfondire sul Ddl 1660

Grandi Opere e repressione: o dei patrioti antipatriottici

Va letto in questo contesto l'emendamento inserito nel "pacchetto sicurezza" 2024[12] – primo firmatario il deputato leghista Igor Iezzi – con cui si innalza fino a 25 anni di carcere la pena massima per chi protesta contro la realizzazione di una Grande Opera Inutile in modo "minaccioso o violento". A gestire tale definizione saranno governi e partiti chiamati a sovrintendere la costruzione dell'opera e le forze di polizia incaricate del servizio d'ordine. La risposta repressiva dello Stato al Movimento NoTav mostra perfettamente come l'Autorità più o meno eletta gestirà la questione dal punto di vista industriale (corruzione e infiltrazioni mafiose); politico (senza alcun interesse per la volontà popolare); repressivo e narrativo, con la trasformazione dei manifestanti in terroristi.

Interessante da notare come l'emendamento che, nei fatti, viene posto a difesa di interessi internazionali che nulla portano al benessere della popolazione sia proposto da un governo – il primo guidato da una donna ma senza differenza alcuna con un qualsiasi esecutivo a trazione maschile – che da decenni delimita il proprio territorio ideologico ponendone a pilastri la difesa della Patria e di una quantomeno fantasiosa “Italia über alles. Una ideologia a intermittenza che, come la guerra in Ucraina perfettamente (di)mostra, si accantona ogni qual volta un Potere straniero abbia i suoi interessi da tutelare entro – e anche contro – il patriottico Stivale. Una sudditanza decisamente antipatriottica ripagata a baci sulla fronte.

L’ordine è: non fermare (gli affari del)la Guerra

In un contesto in cui la Guerra è il più grande affare da cui trarre profitto, data anche la sua natura sempre più intersezionale, la presenza nel mondo di basi militari, postazioni missilistiche e bombe nucleari Nato-statunitensi, anacronistica e pericolosa, va letta anche (soprattutto?) come avamposto commerciale "alternativo", nascosto sotto la necessità di tutelare i diritti delle persone attraverso l'intervento militare. La stretta autoritaria, antidemocratica e militarista che i governi atlantici stanno adottando da qualche anno risponde a questa logica. La scelta delle operazioni militari italiane in favore degli affari dell'Eni, di Leonardo o delle altre grandi multinazionali del nostro Paese, che si traduce anche in politiche di repressione e censura del dissenso interno, risponde esattamente a questa logica.

Schierarsi né con Putin né con la Nato non significa dunque essere equidistanti, come accusa il Pensiero Unico Bellicista, soprattutto in una fase storica dove la Guerra torna ad essere "santa". Al contrario, citando Marescotti, questa scelta evidenzia la consapevolezza dei popoli che esiste un «terrore esercitato dall'Occidente», come già scrivono, tra gli altri, Alexander Langer[13] nel 1989 e Tiziano Terzani nel 2001.

Il terrorismo è un atto relativista. Appunti altermondialisti da una lezione di Tiziano Terzani

L'immagine del terrorista che ora ci viene additata come quella del «nemico» da abbattere è il miliardario saudita che, da una tana nelle montagne dell'Afghanistan, ordina l'attacco alle Torri Gemelle; è l'ingegnere pilota, islamico fanatico, che in nome di Allah uccide se stresso e migliaia di innocenti; è il ragazzo palestinese che con una borsetta imbottita di dinamite si fa esplodere in mezzo alla folla. Dobbiamo però accettare che per altri il «terrorista» possa essere l'uomo d'affari che arriva in un paese povero del Terzo Mondo con nella borsa non una bomba, ma i piani per la costruzione di una fabbrica chimica che, a causa di rischi di esplosione ed inquinamento, non potrebbe mai essere costruita in un paese ricco del Primo Mondo.

E la centrale nucleare che fa ammalare di cancro la gente che ci vive vicino? E la diga che disloca decine di migliaia di famiglie? O semplicemente la costruzione di tante piccole industrie che cementificano risaie secolari, trasformando migliaia di contadini in operai per produrre scarpe da ginnastica o radioline, fino al giorno in cui è più conveniente portare quelle lavorazioni altrove e le fabbriche chiudono, gli operai restano senza lavoro e non essendoci più i campi per far crescere il riso, muoiono di fame?

Ritorno alla War on Errorism

Il «terrore esercitato dall'Occidente» additato da Marescotti non è che un nome diverso di quel "doppio standard" denunciato da Paesi del Sud Globale [vedi Achtung Disertoren! #4], che da tempo si muovono attraverso organizzazioni sovranazionali come i Brics per dar vita ad un mondo multipolare non più guidato da Washington, dai suoi alleati e dalle sue istituzioni internazionali-satellite.

L'allargamento del Brics [ne parleremo in un articolo specifico, ndr] dimostra come porre fine alla "pax americana" sia richiesto da una parte sempre più ampia della popolazione mondiale, che ignorata dai latifondi mediatici atlantici chiede la fine di quella politica dell'"errorismo"[14] che denuncia l'occupazione militare russa ma appoggia le politiche antipalestinesi di Israele; ignora l'impatto bellico-ambientale delle grandi multinazionali o gli scenari di conflitto da cui l'autoproclamato mondo esportatore di democrazia non trae profitto: è il caso dello Yemen prima che diventasse un capitolo della guerra contro la Cina, della Siria o dell'Afghanistan tornato sotto il controllo dei talebani; del genocidio dei Rohingya in Myanmar o dell'ideale anarchista inscritto in quel confederalismo democratico che oggi caratterizza la politica del Kurdistan, del Rojava o di Shengal.

Per approfondire:

Inceppare gli ingranaggi della Guerra – fare guerra alla Guerra, appunto – diventa l'unica opzione adottabile dall'antimilitarismo, anche nelle sue frange non pacifiste[15], e da chiunque sia contrario ad un mondo guidato da regole, interessi e desideri del complesso militar-industriale: non può esserci opposizione alla Guerra senza mettere in discussione l'intera architettura del Potere e dell'organizzazione classista che questo impone a persone e comunità; non può esserci opposizione alla Guerra senza affrontare in maniera critica la dottrina capitalista che lega conflitto e profitto o il ruolo dello Stato-nazione, inteso anche come strumento della militarizzazione di una società geneticamente modificata per accogliere violenza, confini e disuguaglianza.

L'ordine discorsivo della Guerra

Le questioni territoriali assurgono in questo senso ad arma politica e narrativa ben più dei discorsi di natura economica e militare: ne sono esempi perfetti la finta "invasione" migrante – nella cui ricostruzione mediatica mai rientra l'analisi sulle condizioni di sfruttamento dei Paesi di origine da parte dei Paesi ricchi – o quella guerra "umanitaria" che serve solo per accedere, sfruttare e spartire tra i vincitori le risorse naturali ed infrastrutturali del territorio-scenario di guerra.

Nella sintassi del racconto bellico – che oggi copre la cronaca tanto della Guerra quanto del conflitto sociale – questo tipo di inquadratura serve sia per far accettare all'opinione pubblica internazionale il dispiegamento di costosissime missioni militari a moralità alternata, quanto per definire regimi di (in)visibilità di gruppi e istanze sociali, nel cui rapporto di scontro/equilibrio si inscrive la relazione tra chi detiene il Potere, e dunque la capacità narrativa di dire/censurare, e chi questo potere può solo subirlo.

La stessa guerra in Ucraina è, vista con occhio cinico, un conflitto per definire se le risorse dell'area orientale - dal petrolio al gas fino alle terre rare – saranno nel prossimo futuro gestite dalla Russia o da Washington e, in un contesto più ampio, sfruttabili dal Sud Globale o dall'Alleanza atlantica.
Né la narrazione dell'Ucraina come ultimo baluardo della democrazia e dei valori atlantici né una escalation nucleare invocata – più che temuta – da entrambi i blocchi belligeranti aiutano a raggiungere una Pace che, per Kiev, rimane ancora una illegalità costituzionalmente democratica.


Questo articolo fa parte della serie "Achtung Disertoren!", l'approfondimento di Inchiostro Politico su antimilitarismo, guerra e diserzione sullo sfondo della guerra in Ucraina.


Note:

  1. Nel 1967 Seymour Martin Lipset, sociologo statunitense e Stein Rokkan, politologo norvegese, elaborano una teoria sulla formazione dei partiti basata su 4 "cleavages" o, in italiano, "fratture sociali": frattura centro-periferia nella quale nascono le spinte autonomiste contro lo Stato centrale; Stato-chiesa, nella quale si forma lo scontro tra partiti laici e di ispirazione religiosa; città-campagna, con la nascita di partiti in rappresentanza della borghesia industriale e delle forze agrarie; capitale-lavoro, ovvero lo scontro tra i partiti "capitalisti" e i partiti di ispirazione socialista
  2. Una quinta Carovana ha effettuato un ulteriore viaggio tra il 30 marzo ed il 3 aprile 2023, portando generatori, aiuti alimentari (circa 20 tonnellate), generatori elettrici
  3. Basti considerare i casi di Jair Bolsonaro (2019-2022), Hugo Chavez (1999-2013) o Abdel Fattah al-Sisi (2014-in carica) che da ex militari sono diventati Presidenti rispettivamente di Brasile, Venezuela ed Egitto o, per rimanere in Italia, i rapporti stretti tra ex dirigenti del Partito Democratico e Leonardo Spa
  4. Fabio Mini, "Perché siamo così ipocriti sulla guerra? Un generale della Nato racconta", Chiarelettere, Milano, 2012
  5. La citazione è ripresa dall'intervista di Angela Dogliotti, ricercatrice del Centro studi Sereno Regis ed ex segretaria del Movimento nonviolento italiano, "La resistenza civile vince la guerra", pubblicata sul sito internet del centro il 31 marzo 2023
  6. 6.Elena Pasquini, "La meccanica della Pace", Varese, People Edizioni, 2022
  7. 7.Nerofumo (a cura di), "Qui siamo in guerra. Anarchia, antifascismo e femminismo in Ucraina, Russia e Bielorussia. Scritti e testimonianze", Urbino, Edizioni Malamente, 2022, pp.50-51
  8. 8."Riproduzione sociale" è un termine-ombrello, usato soprattutto in sociologia ed economia, per indicare una serie di pratiche legate alla riproduzione della società, sia individuale che collettiva: ne fa parte tutto ciò che è legato alla riproduzione biologica, alla cura – intesa nelle sue varie declinazioni – e agli effetti concreti che queste pratiche hanno sullo sviluppo della società nel suo insieme
  9. 9.L'Istituto Internazionale di Ricerche sulla Pace di Stoccolma (Sipri, nell'acronimo in inglese) è un centro di ricerca non-profit e indipendente che dal 1966 si occupa di ricerche nei campi di conflitti e pace, cooperazione e sicurezza internazionale, con l'obiettivo di collaborare alla risoluzione pacifica della Guerra. È noto soprattutto per il "Sipri Yearbook", un rapporto annuale su avvenimenti e statistiche in tema di sicurezza internazionale e armamenti, in cui vengono riportate in modo imparziale tutte le statistiche relative alla spesa militare nel mondo
  10. Il Trans-European Transport Network (Ten-T, in acronimo) è un progetto che l'Unione Europea avvia nel 2013 (Regolamento n.1315/2013) per migliorare le vie di trasporto per merci e persone all'interno del territorio dei suoi Paesi membri e, tra le altre, prevede anche la definizione di un corpus normativo per ciascuno di essi. Il progetto dovrebbe concludersi nel 2050 e prevede la possibilità di muoversi tra le principali città toccate dai 9 corridoi, detti "dorsali", in 30 minuti al massimo
  11. La definizione è ripresa da: Roberto Cuda (a cura di), "Grandi opere e democrazia", Milano, Edizioni Ambiente, 2017
  12. Disegno di Legge n.1660, approvato dal Consiglio dei Ministri il 16 dicembre 2023 e ancora oggi in discussione in Parlamento
  13. Alexander Langer (1946-1995) è stato docente, scrittore, giornalista, politico di Lotta Continua e tra le voci più importanti del pacifismo e dell'antimilitarismo italiano; è tra i fondatori del Partito dei Verdi in Italia e del Movimento Verde europeo, cui ha sempre collegato un forte impegno in iniziative per la pace – ad esempio in ex-Jugoslavia – e la convivenza tra i popoli, la difesa dell'ambiente e i rapporti tra Nord e Sud del mondo. Le citazioni che lo riguardano sono riprese da un articolo pubblicato su Azione Nonviolenta del 1 aprile 1989 con il titolo "La causa della pace non può essere separata da quella dell'ecologia"
  14. 14.Riprendendo dall’album "War on Errorism" del gruppo punk statunitense NOFX. Pubblicato nel 2003, il disco si sviluppa come una feroce critica verso l'amministrazione di George W. Bush (2001-2009) e, soprattutto, verso le guerre in Iraq e Afghanistan, teatri di sviluppo della "guerra al terrorismo" che il governo statunitense avvia in risposta agli attentati dell'11 settembre 2001. conflitti che il gruppo, facendosi voce di un sentimento che accomuna milioni di persone in tutto il mondo, giudica appunto "errori", da qui il titolo dell'album. 2 anni prima, nell'Argentina della crisi politica del 2001, il collettivo Ectétera dà vita al "Movimento Errorista", dal chiaro intento internazionalista e nato come «critica al mercato neoliberale» sia dal punto di vista politico che artistico oltre che agli Stati Uniti, che di quel “mercato” sono le più prossime ancelle
  15. Per dirla con le parole dello scrittore Valerio Evangelisti, pronunciate durante un suo intervento a Bologna per l'iniziativa "Disarmiamo la Guerra!" del 9 aprile 2022: "Non sono affatto pacifista, io sono personalmente antimilitarista, che è una cosa completamente differente. […] Mi fanno schifo non tutte le guerre, ma sicuramente le guerre di potere, non le guerre civili, che a volte sono sacrosante. […] La sostanza del discorso è questa: il nemico è di sopra. Il nemico non è di fianco a noi, per cui tutto quello che va a colpire le classi subalterne è un atto di guerra contro il proletariato. La risposta deve essere di guerra a chi fa la guerra, guerra alla guerra, si diceva un tempo"

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